Inchiesta

Schettino e De Falco: il dramma in prima persona, 10 anni dopo

De Falco: “Potrebbe succedere ancora? Tocca alle compagnie pensare alla sicurezza a bordo…”

di Michela Berti | 11 gen 2022

L’ex comandante della Capitaneria di Livorno: “Il processo ha chiarito tutto di questa sciagura. Ma in linea generale sulla navigazione c’è ancora molto da fare”

Senatore Gregorio De Falco, prima curiosità: preferisce essere chiamato senatore o comandante in questa nostra chiacchierata?
“Dipende dal ruolo, ma in questo caso mi sembra che comandante sia più opportuno.

 

Dieci anni fa quella maledetta tragedia: ancora oggi sembra ci siano dettagli importanti da chiarire. Che ne pensa?
“Non credo ci siano dettagli da chiarire. Forse ci sono dettagli non noti ma non sono rilevanti per comprendere come sia andata la vicenda che ha causato 32 vittime. Su questa tragedia non ci sono elementi o aspetti da chiarire perché come disse l’allora procuratore di Grosseto questa indagine come è cominciata è finita in Cassazione. La rotta delle indagini è stata corretta, dall’inizio alla fine. Ci sono tante piccole grandi storie dentro queste vicenda che ha interessato migliaia di persone, anche quelle che erano a terra, i soccorritori, l’apprensione e lo stato d’animo di tutti coloro che hanno seguito, ma nessun aspetto sembra poter essere determinante per capire le circostanze e le responsabilità. Altri aspetti che riguardano i rapporti tra le persone, ma non inficiano la ricostruzione della vicenda.

Lei cercò di far risalire a bordo di quello che era ormai un relitto il comandante – già a terra malgrado tanti passeggeri e marittimi fossero ancora sulla nave – con la famosa frase, diventata anche uno slogan nazionale (“Salga a bordo, c…o!”). Il processo le ha dato ragione, ma le Capitanerie non gradirono…
“Non era un relitto. Era una nave, in quel momento c’erano tutti i servizi di bordo. Quella era una nave… Relitto si dice quando non c’è più niente. Seconda osservazione: non è vero che le capitanerie non gradirono, anzi. L’operazione di soccorso fu encomiata in tutto il mondo. L’ammiraglio Cacioppo subentrato all’ammiraglio Brusco venne a fare i complimenti e gli elogi per il lavoro fatto. Il nostro intervento raccolse grandi elogi in tutto il mondo. Pensi che la Guardia costiera statunitense venne convocata dal Senato della Repubblica americana e fu chiamata a rispondere a due domande secche: la Guardia costiera americana sarebbe pronta ad affrontare un’operazione come quella che hanno affrontato gli italiani? Fu risposto che facevano 36-37 operazioni all’anno ma su navi molto più piccole. Seconda domanda: quali erano le osservazioni nei confronti dell’intervento fatto dagli italiani? Nessuna osservazione – fu risposto – , il loro comportamento è stato ineccepibile. Coloro che hanno partecipato ai soccorritori, come gli aereo soccorritori (3 persone calate con i verricelli) hanno ricevuto una medaglia d’argento. Equipaggi e anche noi, la direzione marittima di Livorno ebbe la medaglia d’oro nel 2014 per come aveva coordinato i soccorsi. Io stesso ho ricevuto un encomio solenne. Purtroppo non avemmo la collaborazione dei comandi di bordo, che era dovuta. In una situazione drammatica come quella arrivano motovedette, navi ed elicotteri ma come facciamo a portare in salvo le persone se non c’è collaborazione da bordo?”. Vengono ancora i brividi a pensarci. Sì, ancora i brividi…”.

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Da ufficiale della Guardia costiera lei fu critico su alcuni temi della sicurezza di bordo e sulla pratica dei famosi “inchini” delle navi sottocosta.
“L’inchino non esiste. La nave non ha una distanza dalla costa dove navigare. Non ci sono misure fisse. Il comandante deve valutare le condizioni della nave e metterla sempre al riparo… Ridossare. Ci sono tante variabili nel muoversi in un elemento fluido come il mare che solo il comandante deve valutare. Lo dice bene il codice: il comandante deve sempre rimanere nel pieno controllo della propria nave. Se si viaggia con la prua sull’isola a 16-17 nodi a mezzo miglio è un evidente comportamento in cui non ho controllo della nave. Il codice non dà misure fisse. Al comandate è dato un obiettivo: navigare in sicurezza”.

 

Da senatore “libero” dai vincoli di partito e di movimento, come giudica la politica nazionale sui porti e sulla navigazione nazionale? Secondo alcuni esperti, la politica e non le esigenze della logistica determinano interventi legislativi, finanziamenti e anche sussidi di Stato.
“Sì, manca qualcosa. Nella legge di bilancio si vogliono introdurre norme per l’autonomia differenziata: porti e aeroporti sarebbero gestiti in maniera autonoma da ogni Regione. Ma è assurdo. Un porto è quanto più ci sia di internazionale… Nel porto ogni nave ha la sua bandiera. Dovremmo fare dei sistemi funzionali al traffico di merci e turismo a per porti e aeroporti. L’enorme quantità delle merci che utilizziamo arrivano dal mare. Serve un sistema integrato, si è tentato di farlo con le Autorità di sistema portuale, ma dobbiamo avere una forte direzione centrale. Comunque ogni porto rappresenta un luogo di sicurezza, quindi è sempre lo Stato che ci deve essere. Pensiamo agli aeroporti toscani, Pisa e Firenze che si fanno concorrenza e noi paghiamo questo scontro”.

 

Con la sua esperienza, come giudica la crescita esponenziale delle navi da crociera, che ormai sono in grado di imbarcare migliaia e migliaia di turisti ma sono pur sempre navi che vanno per mare dove – come diceva Pulcinella – “non ci stanno taverne”? E in caso di sinistro rischiano di diventare gigantesche tragedie…
“Purtroppo il limite deve derivare dall’utilità economica. Dobbiamo vedere anche questo aspetto, non solo l’incidente nautico, l’incaglio e l’incendio. Ma dobbiamo considerare la nave italiana nella sua complessità, pensiamo all’emergenza Covid a bordo. La nave da crociera è un paese che deve essere autonomo e questo aspetto deve essere affrontato dalla compagnia… Le compagnie devono essere, e lì – secondo me – si ferma il gigantismo, obbligate a provvedere. Se c’è una buca in strada, si mette un cartello di pericolo e poi lo Stato interviene e tappa la buca. Ma in una situazione dove qualcuno trae del profitto, allora è chi trae beneficio che deve provvedere a garantire sicurezza e autonomia”.

Schettino, barra a dritta verso la rovina: dalla vita dorata al carcere

di Cristina Rufini | 11 gen 2022

Il comandante che portò la nave al naufragio è stato condannato a 16 anni. In cella studia e aspetta la revisione del processo. L’avvocato: “Non è l’unico ad avere responsabilità”

“Sono Francesco Schettino, sono qui per costituirmi”. E’ la tarda serata del 12 maggio 2017 quando l’ex comandante della Concordia, all’epoca cinquantaseienne, di Meta di Sorrento, condannato pochi minuti prima in via definitiva a sedici anni di carcere dai giudici della Corte di Cassazione, si presenta al cancello del carcere di Rebibbia e si consegna.
“Fatevi mandare l’ordine di carcerazione” aggiunge poi a chi sbigottito lo accoglie. “Le sentenze si rispettano e non si discutono – aggiunge Schettino – e io sono qui per rispettarla”.

 

Stava aspettando la decisione degli ermellini poco distante da Rebibbia, sapeva di avere pochissime possibilità di ribaltare le sentenze praticamente fotocopia che lo avevano inchiodato come l’unico responsabile della morte di 32 persone, del ferimento di altre 157 e del naufragio del transatlantico da crociera, che aveva iniziato a comandare nel 2006, proprio nell’anno del varo della Concordia, uno dei gioielli della flotta di Costa Crociere.

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Da quel 12 maggio non ha più voluto rilasciare dichiarazioni o rispondere alle domande dei giornalisti. Ha scelto il profilo basso. Ma è ancora convinto di non essere l’unico, né forse il principale colpevole del naufragio della Concordia.

 

“Ha le sue responsabilità indubbiamente – sottolinea l’avvocato Saverio Senese, che lo assiste dal processo di Appello di Firenze – ma non è certo l’unico ad averne. Ha pagato molto cara la condanna mediatica avvenuta ancor prima di quella giudiziaria… ma soprattutto gli è stato negato il diritto di difesa. Ed è questo che cercheremo di dimostrare, se ci sarà permesso”.

 

Da alcuni mesi, infatti, l’avvocato Senese ha presentato a Genova la richiesta di revisione del processo italiano all’ex comandante della Costa Concordia. “Sono emerse molte cose importanti dopo – aggiunge – e, ripeto, a Schettino è stato negato il diritto di difesa, non è stato permesso di venire a conoscenza di prove a suo favore, e questo è un fatto grave”. Sulla richiesta di revisione i giudici liguri non si sono ancora espressi, probabilmente perché in cerca di riscontri alle motivazioni che hanno portato Schettino, o “capitan Inchino” come rinominato poco dopo il passaggio fatale davanti al Giglio, a chiedere un nuovo processo.

 

Così come c’è attesa, ormai da anni, per la fissazione dell’udienza davanti alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, dove gli avvocati del comandante hanno incardinato un’azione legale contro l’Italia. “Sinceramente – conclude l’avvocato Senese – non mi aspettavo che potessero impiegarci così tanto tempo. Stiamo a vedere”.

 

Fino a oggi la verità giudiziaria definitiva ci racconta uno Schettino unico responsabile del naufragio e del successivo caos nell’emergenza generale prima e nell’abbandono della nave molto dopo, quando già la balena d’acciaio ferita è troppo inclinata per permettere la discesa in sicurezza di tutti i passeggeri e membri dell’equipaggio. Schettino non è stato l’unico finito sotto inchiesta per il naufragio. Insieme a lui pochi giorni dopo la tragedia, altre undici persone vengono indagate, quasi tutti gli ufficiali che la notte dell’impatto contro il basso fondale delle Scole erano in plancia di comando. Di questi, sei sono stati stralciati durante le indagini preliminari, per gli altri c’è stata la richiesta di rinvio a giudizio da parte del pool di magistrati grossetani.

 

Gli altri rimasti, tra i quali Ciro Ambrosio quella sera al timone della Concordia prima che lo stesso Schettino con la fatidica frase ‘I take the conn’ ne prendesse il comando per avvicinarsi alla costa, hanno saldato il conto con la giustizia in fase preliminare.

 

Lui no. Schettino ha voluto affrontare a visto aperto, forse troppo aperto, il processo nella convinzione mai venuta meno di riuscire a dimostrare le colpe degli altri, quasi con strafottenza. Era ancora lo Schettino spaccone, guascone, con atteggiamento alcune volte oltre i limiti. Comportamento che ha senza dubbio contribuito alla pesante condanna inflittagli, arrivata dopo 19 mesi di udienze, pesante: 16 anni. Benché molto inferiore ai 26 chiesti dalla pubblica accusa.

 

Un processo colossale, con migliaia di parti civili e un unico imputato alla sbarra che si è concluso il 12 febbraio del 2015. Due anni dopo la sentenza di appello, praticamente fotocopia di quella del Tribunale grossetano e poi la pietra tombale della Cassazione che ha fatto calare il sipario sul personaggio Schettino, in realtà già andato scemando dopo la batosta inflitta dai tre giudici del Collegio grossetano per omicidio colposo plurimo, lesioni aggravate, naufragio e abbandono della nave, ritenendolo l’unico responsabile del disastro che si era consumato quella gelida notte di gennaio. Colpevole di avere lasciato da sole persone ferite, spaventate… per non essere stato il comandante che abbandona la nave soltanto quando tutti sono in salvo.

 

L’immagine di uno Schettino insicuro, con la voce a tratti tremolante, di quella notte, al sicuro sugli scogli appena bagnato ai piedi, e davanti a lui l’apocalisse di uomini, donne e bambini che cercavano scampo dalla balena che di lì a poco li avrebbe schiacciati non ha mai abbandonato l’immaginario collettivo. La sua guasconeria, la relazione con la giovane moldava, la foto ricordo durante il ritorno a bordo del relitto nel corso di uno dei sopralluoghi concessi dai giudici grossetani, proprio lì dove erano ancora sepolte due vittime, sono fotogrammi che non lasceranno mai la mente di tutti coloro che li hanno vissuti e che hanno indubbiamente rappresentato aggravanti morali alle colpe oggettive. E neanche il successivo cambio di profilo, più basso, silenzioso ha fino a oggi contribuito a cancellarli.