Dietro le quinte

L’inarrestabile tracollo del Monte

Una catena di scandali finanziari e indagini. Dal 2012 al 2016 un susseguirsi di colpi di scena. Il bilancio del 2011 viene chiuso con la perdita monstre di 4 miliardi e 685 milioni di euro

Dal 2012 al 2016 il Monte dei Paschi è l’epicentro di scosse telluriche finanziarie, giudiziarie e giornalistiche. Una catena ininterrotta di eventi, colpi di scena, inchieste, aumenti di capitale, interventi della Banca d’Italia e della Bce, cambi al vertice. Sono anni che vanno riassunti in pillole.

 

A cominciare dalle parole pronunciate dal presidente Giuseppe Mussari ad aprile 2012 prima di lasciare la presidenza del Monte. Bankitalia aveva preteso «discontinuità nella governance», il bilancio 2011 si era chiuso con la perdita monstre di 4 miliardi 685 milioni 274.102 euro. «Questo non è il mio lavoro, e non voglio confonderlo con la professione: tornerò a fare l’avvocato, che poi è quello che so fare» disse Mussari. Che però fu confermato alla presidenza dell’Abi, fino alle clamorose dimissioni a inizio 2013 per lo scandalo derivati. «Non era il tuo mestiere, ma era il nostro», fu la risposta sferzante in uno striscione sventolato dai dipendenti del Monte dei Paschi.

 

Le vite parallele della Banca, bilanci in profondo rosso e immagine scintillante all’esterno, con Mussari nella rosa dei papabili come potenziale ministro dell’economia, presidente dello Ior e confermato all’Abi nonostante non fosse più presidente, non potevano durare.

Giuseppe Mussari, ex presidente del Monte dei Paschi di Siena

A maggio 2012 il bambino che grida “il re è nudo” è Milena Gabanelli con Report. “Il Monte dei Fiaschi” è il titolo del reportage di Mondani. Un ritratto devastante per il Monte, l’annuncio dell’inchiesta aperta dalla procura di Siena per l’acquisto di Antonveneta, gli autogol mediatici dei protagonisti nelle interviste. Il 2012 è il primo anno della gestione Profumo-Viola.

 

Il 10 ottobre l’ad Fabrizio Viola racconta di aver scoperto in una cassaforte del ’500 nel vecchio ufficio dell’ex direttore generale Antonio Vigni, il “mandate agreement” di Alexandria, il manuale di istruzioni che permette di decriptare quel derivato-rompicapo, partorito per occultare le perdite dopo Antonveneta. Quella scoperta è il sasso che provoca la valanga dei processi a Siena e a Milano. Saranno oggetto della prossima puntata, qui si parla solo del processo di Siena, concluso nel 2014 con la condanna a 3 anni e mezzo per Mussari, Vigni e l’ex capo della finanza Baldassarri. Condanna poi riformata in appello. 

Fabrizio Viola, amministratore delegato del Monte dei Paschi di Siena dal 2012 al 2016 (Lazzeroni)

La priorità per Profumo e Viola è «continuare a tenere in vita la banca», che ha disperato bisogno di capitale. Si comincia a febbraio 2013 con l’emissione di nuovi strumenti finanziari per 4 miliardi e 100 milioni, 1,9 miliardi per estinguere i Tremonti Bond. Bisogna aggredire anche i costi, ridurre la montagna di crediti deteriorati che a fine 2014 erano di 44,5 miliardi di euro, e chiudere i derivati Alexandria e Santorini, vere bombe a orologeria piazzate nei bilanci. Viola rivendicherà, in sede di processo a Milano, di aver chiuso in anticipo, tra 2013 e 2015, le due operazioni (unwinding è il termine tecnico), con 220 milioni di euro di minor costo per Santorini e 440 milioni per Alexandria. A condizioni più favorevoli, qualche miliardo di euro, rispetto ai tempi di chiusura pretesi dal “grande accusatore” Giuseppe Bivona.

 

Ma sono i due aumenti di capitale i macigni che pesano sulla governance Profumo-Viola. Il primo parte a giugno 2014, dopo il rinvio voluto dalla Fondazione. 5 miliardi di euro, 214 azioni nuove ogni 5 vecchie. Il 4 luglio il Monte comunica che i 5 miliardi di nuove azioni sono stati sottoscritti interamente e che rimborserà 3 miliardi e 455 milioni degli strumenti finanziari con il Governo. Ma i crediti deteriorati crescono, i conti traballano e il bilancio 2014 si chiude con una perdita di 5 miliardi e 340 milioni. Serve un nuovo aumento da 3 miliardi, la Bce lo pretende. A maggio 2015 viene lanciata l’offerta con uno sconto del 38,9 percento sul prezzo di 1,17 euro per le nuove azioni. Il Tesoro acquista quasi il 10 percento delle azioni, pagamento di interessi dei Monti bond. Lo Stato rientra nel capitale Mps. Il 6 agosto 2015 Alessandro Profumo si dimette da presidente. Al suo posto Massimo Tononi.

«Non chiedeteci di far crollare la Fondazione. Così rinviai l’aumento di capitale da 5 miliardi»

I ricordi di Antonella Mansi, presidente per undici mesi a Palazzo Sansedoni: «Un’assemblea drammatica, una battaglia per il territorio»

«Non potete chiederci di fare crollare proprio noi l’edificio che ci è stato affidato dalla legge. Questa è la ragione del nostro preannunciato voto contrario alla deliberazione di esecuzione immediata dell’aumento di capitale». Il 28 dicembre 2013, all’assemblea di Banca Mps convocata per l’aumento di capitale da 5 miliardi, la presidente della Fondazione Antonella Mansi, nominata a fine agosto a sorpresa dai deputati generali, si oppose con fermezza alle richieste dei vertici della Banca, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, che volevano il sì immediato all’aumento .

 

«La Fondazione, così come tutti gli azionisti, – disse la presidente Mansi – subirebbe danni irreparabili dalla conversione in azioni dei titoli sottoscritti dal Governo. Mentre la banca continuerebbe a esistere». All’epoca Palazzo Sansedoni aveva il 33 percento del capitale Mps. «Sono i motivi – fu la proposta alternativa della Fondazione – che hanno portato l’Ente a chiedere una deliberazione che confermi il pieno appoggio all’aumento di capitale, da eseguirsi però a partire da maggio del 2014».

Antonella Mansi, ex presidente della Fondazione

A giugno Antonella Mansi si dimise da presidente della Fondazione. Cosa ricorda di quegli 11 mesi a Palazzo Sansedoni?

«È stato un anno durissimo, molto importante per me sia a livello personale che professionale – risponde oggi Antonella Mansi – e cruciale per il territorio senese. Ricordo con chiarezza le solitudini e le battaglie delle persone che hanno combattuto con me». Quel giorno sfidò i grandi banchieri e l’alta finanza? «Abbiamo combattuto “per”, non “contro” qualcuno. La vera novità di quella operazione era di averla fatta per il bene della Fondazione. Cosa che era nelle mie responsabilità ma anche nelle mie convinzioni».

 

Fu trattata con sufficienza dai vertici della Banca?

«Non vorrei rivangare quell’assemblea. L’ho vissuta da prima donna alla guida della Fondazione Mps e per ora sono rimasta l’unica. Ho salutato con piacere che anche Banca Mps poi abbia avuto due presidenti donna».

 

Dopo il rinvio, trovò i capitali necessari per l’aumento grazie all’accordo con Btg Pactual e Fintech?

«Quando un progetto finanziario ha valore è più facile condurlo in porto, coinvolgendo altri soggetti. La primavera 2014 era una fase particolarmente propizia, sicuramente di più rispetto a dicembre. Maturarono prospettive concrete e tornò l’interesse di soggetti finanziari importanti. Fu un momento tutto sommato fortunato, che ha consentito la ripartenza della Fondazione e ha evitato il crollo».

A giugno andò via perché sapeva che l’aumento da 5 miliardi non sarebbe bastato? O semplicemente perché era stanca della battaglia Mps?

«Per nessuno dei due motivi. Il territorio senese mi aveva chiesto un intervento in un momento drammatico, io ho risposto da “civil servant”. Quella fase storica era completata con il risanamento. Nessuno è buono per qualsiasi cosa, solo per fare i compiti per i quali siamo chiamati. A me è costato moltissimo portare a termine quel passaggio in Fondazione. Sono stati mesi di tensioni, di paure, di preoccupazioni e di distacco dal mio lavoro in azienda. Non ce l’avrei fatta senza il sostegno dei dipendenti della Fondazione e della mia famiglia. Sono stata chiamata a fare un’operazione, l’ho fatta e poi sono tornata in azienda».

 

Se la Fondazione Mps avesse provato a vendere i diritti delle azioni a dicembre 2013 non avrebbe incassato nulla. A marzo 2014, passate le turbolenze, la presidente Mansi firmò un accordo con Btg Pactual (2 percento delle azioni) e Fintech (4,5 percento), a 23,75 centesimi per azione, oltre a cedere una bella fetta a Morgan Stanley. Scese dal 33 al 2,5 percento del capitale Mps, ritrovò un po’ di patrimonio. Poi nel 2015 la Banca lanciò il nuovo aumento da 3 miliardi. Ma Antonella Mansi non era più in Fondazione. Al suo posto Marcello Clarich.

La morte di David Rossi

Tante inchieste ma i dubbi restano. Due archiviazioni per suicidio, la storia dei festini, la commissione parlamentare

La sera del 6 marzo 2013 la cronaca finanziaria della crisi del Monte dei Paschi diventa anche cronaca nera. David Rossi, capo della comunicazione della Banca, per dodici anni al fianco di Giuseppe Mussari, prima in Fondazione poi a Rocca Salimbeni, precipita dalla finestra del suo ufficio e muore. Per lunghi minuti è agonizzante nel vicolo dietro la Rocca, le telecamere riprendono il corpo a terra, qualcuno che si affaccia nel vicolo, i dirigenti e i colleghi del Monte che si avvicinano al cadavere.

 

Quella sequenza, il racconto di quella sera, l’arrivo di Carolina Orlandi, figlioccia di David Rossi, il comportamento dei colleghi, sono stati vivisezionati da tante inchieste giudiziarie e televisive, hanno fatto da base per diversi libri, ognuno con una tesi.

David Rossi, capo della comunicazione MpS, morto il 6 marzo 2013 (Lazzeroni)

Le due inchieste aperte dalla procura di Siena sono state archiviate con la tesi del suicidio; idea che partiva da quella perquisizione nell’ufficio e a casa di David Rossi, il 19 febbraio 2013, così come nelle case dell’ex presidente Mussari e dell’ex dg di Banca Mps, Antonio Vigni, nell’ambito delle indagini per l’acquisizione di Banca Antonveneta. Pequisizione che avrebbe alimentato le paure di David sul suo futuro in Banca.

 

Alla battaglia mediatica sulla morte, si è affiancata la bufera sui presunti festini a luci rosse, innescata da un’intervista a Le Iene dell’ex sindaco Pierluigi Piccini. La procura di Genova apre un fascicolo, si sentono tanti testimoni e alla fine sancisce l’assenza di collegamenti tra i presunti festini e le indagini della procura. A inizio 2021 viene istituita la commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di David. Che ha già sentito tanti testimoni e ha sollevato nuovi dubbi su quella morte. La domanda cruciale resta il perché Rossi è morto. Più del come.

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