La Toscana e il ciclo dei rifiuti, tra business, ambiente e opportunità

Il ciclo di rifiuti in Toscana, tra ambiente, opportunità, business e affari sporchi col rischio di infiltrazioni criminali. Un giro vorticoso di milioni di euro e la difficoltà a trovare una nuova via in una delle regioni d’Italia con i costi di smaltimento più alti. I numeri, le interviste, le prospettive. Un’inchiesta che ha l’obiettivo di fornire ai lettori un quadro chiave della situazione.

Costi alti e ricorso alle discariche. Perché la svolta verde è fondamentale

Italia e Toscana, dati e prospettive a confronto

di Luigi Caroppo

Raccogliere e smaltire i rifiuti costa sempre di più. Solo la prospettiva di produrre meno scarti urbani può salvare la spesa a famiglia per la Tari insieme alla nuova tecnologia applicata allo smaltimento virtuoso dei rifiuti. Secondo Greenreport.it in Italia i costi annui dei servizi di igiene urbana fra il 2012 ed il 2019 sono passati da 159 a 175,79 (euro per abitante) e da 31,05 centesimi per chilo a 34,70 centesimi per chilo.

 

In particolare si registra un incremento dei costi relativi alla raccolta differenziata, passati da 42,18 a 56,34 euro per abitante nonché da 21,69 a 29,18 centesimi per chilogrammo. D’altra parte, nello stesso periodo la percentuale di raccolta differenziata è aumentata tendenzialmente dal 43,4 al 62,4%.

 

I dati pro capite variano da un costo massimo complessivo di gestione del servizio di igiene urbana di 253,73 euro in Liguria al minimo di 136,62 euro del Friuli Venezia Giulia. Più alta è la raccolta differenziata meno si spende pro capite. I dati invece rapportati alla quantità di rifiuti gestiti, varia da 78,48 centesimi a chilogrammo per anno della Basilicata ai 47,48 dell’Emilia-Romagna. Anche in questo caso sostiene costi più alti la regione che ha una percentuale di raccolta differenziata minore (la Basilicata).

Secondo Greenreport.it in Italia i costi annui dei servizi di igiene urbana fra il 2012 ed il 2019 sono passati da 159 a 175,79 (euro per abitante) e da 31,05 centesimi per chilo a 34,70 centesimi per chilo

In Toscana i costi variano fra un minimo di meno di 100 euro ad abitante l’anno a Peccioli, sede virtuosa di discariche compatibili col territorio, per arrivare agli oltre 800 di Forte dei Marmi, mentre il dato medio nazionale è di 176 euro e quello regionale di 205. Nel complesso sono un centinaio i comuni per i quali si registra un costo maggiore di quello medio regionale.

 

Dati relativi ai costi per chilogrammo di rifiuti gestiti: i costi totali variano fra il massimo del comune di Castell’Azzara (Grosseto) con 74 cent/kg al minimo anche in questo caso di Peccioli con 12,56 cent/kg.

 

Il costo medio nazionale è invece di 59,62 cent/kg e quello medio regionale di 56,84 cent/kg. «A differenza di quanto visto per i costi pro capite, la Toscana in questo caso si colloca al di sotto del valore medio nazionale, mostrando una certa efficienza nei servizi svolti» sottolinea Greenreport.it.

 

Se mettiamo in relazione, poi, la percentuale di raccolta differenziata con i costi sostenuti, vediamo che alcuni Comuni che hanno percentuali elevatissime di differenziata – sopra l’85 per cento – come Lamporecchio, Certaldo, Capraia e Limite, Serravalle Pistoiese, Montelupo Fiorentino, hanno anche costi al chilogrammo di rifiuti molto contenuti, addirittura meno di 30 cent/kg.

Nicola Perini, presidente di Cispel Confservizi

Nell’analisi di Nicola Perini, presidente di Cispel Confservizi, «gli impianti di incenerimento attivi in Toscana nel 2020 erano quattro, sette nel 2013. La Toscana ha avviato da anni un processo di chiusura degli impianti di incenerimento, forma di gestione che copre nel 2020 solo 213,000 tonnellate (il 10 per cento del totale), di cui 131.000 di frazione secca in uscita da Tmb e 82.000 di tal quale. In Toscana opera un solo impianto di coincenerimento, per 25.000 tonnellate trattate».

 

Preoccupante il dato delle discariche toscane. Nel 2020 sono stati avviati a questa forma di smaltimento 785.000 tonnellate di rifiuto trattato – nel 2019 erano 769.000, nel 2018 743.000 –, con un aumento costante di alcuni punti percentuali. Un dato in controtendenza con la dinamica media nazionale e soprattutto incoerente con gli obiettivi europei.

 

Preoccupato Perini: «Un valore allarmante, collegato alla costante riduzione del recupero energetico: abbiamo chiuso inceneritori e aumentato l’uso della discarica. Conseguentemente, i volumi residui delle discariche esistenti si stanno consumando più rapidamente del previsto».

 

Venendo all’export, la Toscana esporta nel 2020 circa 20.000 tonnellate di rifiuti urbani trattati, pari all’1 per cento del totale. Il mix di gestione toscano quindi è il seguente: 50 per cento riciclo, 12 per cento fra incenerimento e coincenerimento, 37 per cento discarica e 1 per cento export. Infine i dati di costo del servizio complessivo di gestione dei rifiuti: la Toscana presenta un valore di costo di circa 400 euro a tonnellata, contro una media nazionale di 376. Valore più alto di quello del nord Italia (327) ma più basso del valore del centro (419) e del sud (439). Si conferma un dato per cui la Toscana si colloca come la regione peggiore del nord e migliore del centro-sud. Il costo complessivo del servizio in Italia e anche in Toscana è aumentato rispetto al 2019, anche a seguito dei maggiori costi della raccolta presso utenti Covid-19 e dei sistemi di protezione e sanificazione.

 

«Non perseguire l’autosufficienza impiantistica, per la Toscana della gestione dei rifiuti comporterebbe tre conseguenze negative: aumento dei costi di gestione e quindi di tariffe e prezzi per cittadini ed imprese rispetto ai valori attuali; aumento vertiginoso delle emissioni di gas serra, con impatto ambientale e aumento dei costi; mancanza di sicurezza ed affidabilità di uno dei sistemi centrali per garantire qualità della vita e competitività dei territori toscani. Rischi che la Toscana non può correre» ha detto recentemente Perini alla presentazione del rapporto “Sfide e opportunità per la gestione efficiente dei rifiuti in Toscana al 2030”, realizzato da Ref Ricerche e promosso da Confindustria Toscana e Confservizi Cispel Toscana.

Preoccupante il dato delle discariche toscane. Nel 2020 sono stati avviati a questa forma di smaltimento 785.000 tonnellate di rifiuto trattato, con un aumento costante di alcuni punti percentuali

ll rapporto Ref da un lato certifica come la strada intrapresa per raggiungere l’obiettivo del 65 per cento di riciclo al 2030 sia quella giusta (le aziende toscane hanno presentato progetti di digestione anaerobica e piattaforme di riciclo all’interno dei finanziamenti del Pnrr per 400 milioni di euro di investimenti), ma dall’altro segnala un fabbisogno impiantistico per recupero energetico/riciclo chimico al 2030 nella nostra regione: 597 mila tonnellate di rifiuti (334 mila di rifiuti urbani, 192 mila di rifiuti speciali, 71 mila di capacità di riserva e di eventuale picco). Uno scenario che vale tra gli 800 e i 900 milioni di euro di investimenti, circa 2.500 addetti in più e benefici ambientali ed economici che ammontano a 36,5 milioni di euro l’anno.

Il nuovo comandamento: “I rifiuti sono una risorsa”

L’assessore regionale Monia Monni e il la sfida della crescita: «Un piano per ridurre l’uso delle materie prime»

di Luigi Caroppo

Una rivoluzione vera e propria. Sia per le finalità sia per le modalità proposte al mercato. Che dice no a nuovi termovalorizzatori, no a nuove discariche. Sì alla costruzione di una vera e propria “industria dei rifiuti”. Il comandamento è chiaro: i rifiuti «sono una risorsa e come tale devono essere valorizzati alimentando un’impiantistica che porti benefici economici ed occupazionali». Parole d’ordine: economia circolare e sostenibilità.

 

Spiega l’assessora regionale toscana all’Ambiente Monia Monni: «La nostra sfida è trasformare i rifiuti in risorsa e in volano di crescita compatibile per innovazione e lavoro. Questo approccio trova nella definizione di “economia circolare” e nell’obiettivo della neutralità carbonica le sue ragioni che, però, impongono un radicale cambio di metodo anche sul piano normativo e della pianificazione».

 

Il nuovo piano regionale dell’economia circolare è quindi «orientato alla prevenzione della produzione dei rifiuti e alla loro gestione finalizzata all’allungamento della vita della materia attraverso il riuso, il riciclo e il reimpiego nei processi produttivi, nel quadro di una complessiva minimizzazione degli impatti che passa dalle direttrici della riduzione della quantità di rifiuti prodotti e del sempre minor ricorso alle discariche».

 

Il percorso di adozione del nuovo Piano «si occuperà sia della stringente pianificazione dei rifiuti urbani sia della programmazione degli speciali», nodo quest’ultimo particolarmente “ostico”.

L’assessora regionale toscana all’Ambiente Monia Monni

Gli obiettivi delle imprese  

 

Impegno a realizzare impianti le cui emissioni, grazie all’utilizzo di tecnologie efficaci e a interventi di mitigazione, non incrementino, ad impianto in esercizio, le emissioni misurate prima dell’avvio della procedura di valutazione d’impatto ambientale. 

 

«L’avviso pubblico – spiega  Monni – si è rivolto agli impianti industriali esistenti per verificare se nel proprio ciclo produttivo c’è spazio per processi di valorizzazione dei rifiuti; a soggetti che intendono realizzare impianti di riciclo; a soggetti che intendono realizzare impianti di recupero dei rifiuti urbani da prevedere, come avviene tradizionalmente, all’interno del nuovo Piano; a soggetti che intendono realizzare impianti di recupero dei rifiuti speciali di derivazione urbana, cioè trattati in impianti intermedi, in convenzionamento con le Autorità d’ambito».

La transizione ecologica

 

Transizione degli attuali impianti di Tmb (Trattamento meccanico biologico) verso vere e proprie “Fabbriche dei materiali” in grado di valorizzare al massimo anche i rifiuti urbani indifferenziati sia nella loro frazione secca sia umida: «Il piano è la modalità con cui, in accordo con i Comuni e le Aato (autorità di ambito territoriale ottimale), vengono prese le decisioni di pianificazione sui rifiuti urbani e la complessiva programmazione dei rifiuti speciali, che, come noto, rappresentano la maggiore quota di rifiuti prodotti, con l’obiettivo di assicurare il pieno soddisfacimento del principio di autosufficienza».

 

«Uscire dalla logica lineare “preleva-produci-consuma-butta” significa costruire un modello complesso di gestione dei rifiuti che punti a recuperare tutta la materia possibile, nell’ottica di creare un’industria del riciclo che generi impatti positivi in termini ambientali, ma anche sociali ed economici» sintetizza l’assessora Monni.

«Uscire dalla logica lineare "preleva-produci-consuma-butta" significa costruire un modello complesso di gestione dei rifiuti che punti a recuperare tutta la materia possibile»

I primi risultati

 

Sono state 36 le manifestazioni di interesse presentate nell’ambito dell’avviso pubblico esplorativo destinato alle imprese per la realizzazione di impianti di recupero e riciclo dei rifiuti. Che succede adesso? È stato dato il via alla costituzione del gruppo di lavoro tecnico-istruttorio composto da Regione Toscana, le tre Autorità per il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani e l’Agenzia Regionale Recupero Risorse. Il gruppo tecnico dovrà svolgere una valutazione di coerenza delle manifestazioni di interesse presentate secondo i requisiti previsti. Terminata una prima verifica, verrà informato il Consiglio regionale. Quindi verrà attivato il percorso pubblico di informazione e partecipazione sulle nuove tecnologie presentate, il cui risultato, insieme all’esito della valutazione finale di coerenza, saranno oggetto di una nuova comunicazione al Consiglio regionale e confluiranno così nel quadro conoscitivo del piano regionale dell’economia circolare.

I modelli di riferimento

 

La tecnologia ideale è quella che non fa un filo di fumo, recupera carbonio che raffinato dà vita a metanolo o idrogeno, sostanze utilizzabili nel ciclo “pulito” delle auto, ad esempio. Lo scenario che si apre in Toscana prevede chiusure di impianti, altri che rimangono in attività, altri ancora che entrano in campo in base alle offerte arrivate alla Regione.

 

Stop definitivo agli inceneritori di Livorno e di Montale mentre restano in azione per i prossimi anni i termovalorizzatori di San Zeno ad Arezzo (Aisa) con ampliamento autorizzato dalla Regione e quello di Poggibonsi (Sienambiente) in modo che la zona sud della Toscana fin d’ora abbia una certa autonomia nello smaltimento e recupero.

 

Il punto di riferimento per capire il modello auspicato di impianto potrebbe essere quello che Alia ha in progetto di realizzare a Montale (area ex incenitore) insieme a tre Comuni (Montale, Montemurlo, Agliana). L’impianto può essere definito un gassificatore senza fuoco che recupera carbonio che raffinato dà vita a metanolo e a idrogeno. La caratteristica di questo impianto, grazie alla sua tecnologia, potrebbe essere utile anche per il settore privato, in questo caso il distretto tessile che ha gravosi problemi di smaltimento degli scarti industriali (rifiuti speciali, circa 30mila tonnellate all’anno).

I dubbi aperti

 

La trasparenza con il territorio, con i cittadini. Bisogna spiegare bene, molto bene cosa si realizza e come. Qual è l’impatto, quali i benefici. Non solo sconti in bolletta, ma anche cosa ne sarà dell’ambiente circostante l’impianto. Una sfida nella sfida. E allora c’è allo studio da parte della Regione Toscana, anche l’ipotesi di avvalersi di un vero e proprio Cts, comitato tecnico scientifico in cui ci sarebbero non solo esperti ma anche rappresentanti delle associazioni e dei cittadini.

 

Seconda questione: gli scarti della produzione industriale. Sono parte cospicua e particolarmente inquinante. Le imprese chiedono risposte collettive, sono pronte a dotarsi anche a livello di distretti di impianti ad hoc. Ma molte offerte pervenute alla Regione Toscana prevedono oltre al trattamento della parte riciclabile dei rifiuti urbani anche il trattamento degli scarti speciali. Come attuare questo doppio binario che chiuderebbe definitivamente il cerchio dell’economia circolare?

Distretti circolari, la frontiera green

Tari e cittadini: ecco cosa cambia

Alia svela le strategie. Nuovo dialogo e forti investimenti

di Luigi Caroppo

Che prospettive si aprono con le offerte delle imprese di gestione dei rifiuti in risposta alla domanda del bando della Regione Toscana?

 

«Interessanti, molto interessanti, ma che hanno bisogno di forti investimenti e del coinvolgimento del territorio affinché l’annunciata rivoluzione green abbia radicamento ed efficacia. Bollette giù, impianti di trasformazione dei rifiuti all’avanguardia (con riciclo chimico) e verdi, addio discariche (restano solo quelle esistenti) e stop a ipotesi di termovalorizzatori».

 

Alia, la società di gestione dei rifiuti della Toscana centrale, è in prima fila per realizzare nuove infrastrutture rispondendo proprio al bando della Regione. Nicola Ciolini, presidente di Alia, già consigliere regionale del Pd, pratese, spiega le strategie e le nuove alleanze sul mercato, ma anche il modo nuovo e più incisivo, si spera, di rapportarsi con Comuni e cittadini.

Nicola Ciolini, presidente di Alia, la società di gestione dei rifiuti della Toscana centrale

Presidente Ciolini, Alia è in prima fila nei progetti di economia circolare e capofila di tre distretti. Credete davvero nella rivoluzione della Regione Toscana?

 

«È un indirizzo coerente con gli indirizzi nazionali ed europei per la chiusura del ciclo della economia circolare. Noi ci crediamo e non siamo i soli. Lo testimonia il fatto che per rispondere a questa sfida abbiamo messo in campo uno sforzo importante, dando vita ad una “Alleanza per l’Economia Circolare” coinvolgendo nostri partners fortemente radicati sul territorio come Zignago Vetro e Scapigliato assieme a players che lavorano in tutto il mondo, come Maire Tecnimont, specializzata nei progetti per la transizione energetica e la chimica verde e Suez, secondo leader mondiale nel campo delle acque e dei rifiuti. Alleanza che riteniamo una piattaforma che consideriamo aperta agli altri gestori (e non solo) toscani con i quali stiamo dialogando».

 

Quanti soldi siete disposti ad investire nei nuovi progetti per Empoli, Pontedera e Rosignano?

 

«Complessivamente l’investimento sui tre distretti cuba oltre un miliardo e cento milioni di euro, con circa duemila occupati nella fase di costruzione e poi a regime circa duecento persone occupate ad impianto, tra diretti e indiretti nella gestione, oltre ad altre forme di indotto locale».

 

La sinergia Alia e privati è una nuova dimensione che offrite al mercato. Sarà vincente?

 

«Abbiamo già una esperienza vincente in proposito. Da tempo abbiamo lavorato a sinergie con altri operatori privati che ci hanno consentito il salto tecnologico su alcune filiere, con effetti positivi in termini di qualità del nostro riciclo. Pensiamo a Zignago nella filiera del vetro, Montello in Revet per il recupero della plastica, Relife nel mondo cartario. Con ottimi risultati e reciproca soddisfazione: su tutta la filiera del riciclo meccanico queste sinergie hanno prodotto straordinari risultati: la raccolta differenziata è pari al 66 per cento; recuperiamo il 96,5 per cento del vetro , il 69 per cento del multimateriale (vetro, plastica e lattine), l’82 per cento della frazione organica e oltre l’89 per cento della frazione cellulosica. La transizione ambientale ed ecologica necessita di forti investimenti non solo economici ma anche in competenze e innovazione tecnologica e i nostri partners garantiscono un salto di qualità su questo terreno».

 

Chi ci guadagna?

 

«Tutti. L’ambiente e i cittadini innanzitutto. I tre distretti sarebbero in grado di annullare il deficit impiantistico sugli scarti che rimangono dopo che abbiamo recuperato tutto ciò che i nostri cittadini si sforzano di separare nella raccolta differenziata. Il materiale non recuperabile non può che andare in nuove discariche, che sappiamo sono fortemente contrastate dalle politiche europee sulla economia circolare e non potranno ricevere più del 10 per cento nei prossimi anni, o partire per termovalorizzatori fuori regione o all’estero, con i costi ambientali ed economici che ne derivano. Pensiamo a come è schizzato il costo della nostra bolletta energetica per l’assenza di impianti e la dipendenza dall’estero, sappiamo già che quel rischio non è molto distante per quanto riguarda i rifiuti».

Alia, la società di gestione dei rifiuti della Toscana centrale

La sindaca di Empoli chiede che i Comuni che ospitano impianti abbiano tariffe per i cittadini. Ci spieghi meglio. Fino a quanto i cittadini possono avere sconti sulle tariffe?

 

«Siamo lieti di aver avviato un confronto trasparente su questo percorso e i sindaci chiedono garanzie sul versante industriale con tecnologie e impianti a basse emissioni, assieme a benefici concreti per le loro comunità. Lo riteniamo corretto e stiamo dando risposte su queste prime valutazioni. Quello della tariffa è un tema che andrà affrontato assieme ai comuni e all’Ato, l’autorità d’ambito che ha le competenze sul tema. Per quanto riguarda Alia abbiamo dato ampia disponibilità ai comuni per discutere di benefici concreti e percepibili dai territori, dentro un quadro di sostenibilità generale.

 

Tutto il processo che porta metanolo e idrogeno parte dalla raccolta differenziata. Lei pratese sa che si può fare sempre di più come dimostra la città del tessile. Alcune città vanno al rallentatore però.

 

«La nostra priorità rimane quella di differenziare il più possibile; abbiamo alcune aree che sono molto avanti nella percentuale di raccolta differenziata, tutto l’empolese e la provincia di Prato, che vantano primati importanti. Un’esperienza che mettiamo accanto a progetti di trasformazione in corso nei grandi centri come Firenze e Pistoia che cominciano a produrre risultati in linea con le aspettative. Alia sta investendo molto nelle filiere del riciclo. Abbiamo presentato nel PNRR diversi impianti per il riciclo e recupero della carta, dei RAEE, le apparecchiature elettriche ed elettroniche, dell’umido. Ci stiamo quindi attrezzando per spingere al massimo recupero e riciclo. I tre distretti ci aiuteranno a chiudere il cerchio, smaltendo solo quella percentuale di materiale che non è tecnicamente recuperabile».

 

Il problema degli scarti industriali come si risolve? Pensa che gli impianti per rsu possono integrarsi con modalità ad hoc per gli speciali?

 

«La tecnologia che abbiamo scelto, tecnicamente, consente anche il trattamento degli scarti delle filiere industriali locali. Su questo dovrà decidere la Regione».

Condivisione di progetti con il mondo civile e i cittadini. Che farete?

 

«Intanto mi lasci dire, questo è un tema che ci siamo posti sin dal principio. Vogliamo inaugurare un metodo nuovo. Accanto al lavoro di progettazione di questi studi di fattibilità per i distretti, abbiamo affiancato una attività di ascolto dei territori e di una larga platea di stakeholders a livello regionale. Abbiamo raccolto indicazioni e bisogni dei territori che sono stati utili a progettare dal basso il modello dei “distretti circolari”. Ora inizieremo la fase più operativa di confronto con le amministrazioni del territorio, senza distinzioni di maggioranze e minoranze, con le associazioni, le categorie produttive, i cittadini. Parleremo con tutti, in maniera trasparente ed aperta. Riteniamo di aver elaborato delle proposte avanzate, green, innovative che possono risolvere problemi e trasformare i rifiuti in risorsa».

 

Il Pd di Pisa alza già le barricate. Dice che bisogna confrontarsi e prevedere una distribuzione sui territori degli impianti. Insomma la strada non è in discesa.

 

«Se la strada fosse semplice non saremmo ancora qui a parlarne con dieci o quindici anni di ritardo. Mettiamo concretamente in fila i fatti. La Regione Toscana ha lanciato un avviso chiedendo alle imprese di farsi carico delle proposte. Noi abbiamo preso sul serio questa scadenza, lavorando per mettere in piedi una alleanza di imprese leader di settore e un modello innovativo e sostenibile: “il Distretto circolare” che è un progetto flessibile che si può integrare con le esigenze dei territori che lo ospiteranno. Apriremo per questo una fase di ascolto e confronto. La Politica sarà chiamata a decidere e far scelte. Abbiamo molto rispetto e non entriamo nel dibattito tra le forze politiche, crediamo che ciascuno debba far la propria parte, auspicando che si possa discutere rapidamente nel merito e trovare soluzioni condivise per i nostri territori».

Si allungano i tentacoli della criminalità

Così i rifiuti diventano affari sporchi

Appetiti sugli scarti speciali dell’industria

di Stefano Brogioni

«Abbiamo scaricato tutti i fanghi della conceria di Santa Croce sull’Arno… Il clan aveva una base in Toscana. Il primo del mese andavo in Toscana a incassare da 700 a 900 milioni di lire. Meglio di un bancomat». L’ex camorrista Gaetano Vassallo, il pentito della “terra dei fuochi” racconta, anche in un libro (Così vi ho avvelenato, il titolo), il grande business dei rifiuti. Un ghiotto affare dove i clan campani misero per primi le mani, nel secolo scorso. Criminalità organizzata di servizio: non agguati e lupare, ma tir e container, pronti a sollevare le imprese del ricco e operoso centro-nord dai costi, spesso esorbitanti, dello smaltire “regolare”.

La Toscana produce. E chi produce fa anche rifiuti.

 

Concerie, pelletterie, cartiere: le ultime grandi inchieste giudiziarie dell’Antimafia toscana raccontano anche questo aspetto dell’economia. E accendono un faro su quella zona grigia che fiancheggia l’imprenditoria pulita, e che rende meno netti i contorni del lecito e dell’illecito. Secondo le stime, le industrie toscane, in un anno, fabbricano anche dieci milioni di tonnellate di rifiuti speciali, e non c’è la capacità interna di assorbirli tutti.

 

Le concerie, settore d’indiscussa eccellenza e traino della nostra economia, partecipano a questa “produzione”. Del caso “keu”, sono piene le cronache. Ma è bene ricordare che il terremoto giudiziario – ancora in corso – ha già raggiunto alcune sentenze inappellabili. E cioè che anche sotto le nostre finestre ci sono delle piccole “terre dei fuochi” dove sono stati seppelliti, seppur mischiati ad altri materiali, scorie di conceria cariche di cromo. Il quinto lotto della Sr 429, il caso più eclatante: stando alle intercettazioni dei carabinieri forestali, del Noe e del Ros, nel sottofondo stradale, pericolosamente vicino alle falde dei pozzi della gente che vive tra Empoli e Castelfiorentino, ce ne sono finite 8mila tonnellate. Nell’ex area Vacis di Pisa, i test di cessione sul terreno hanno sancito che i valori di cromo e solfati sono fuori da qualsiasi limite.

Il trattamento in discarica del keu costa oltre 200 euro alla tonnellata

Più risparmio, più guadagno. Perché Aquarno, il depuratore che “produce” il keu, residuo dei fanghi, abbia commissionato all’impresa di Francesco Lerose, il calabrese trapiantato in Toscana accusato di essere vicino alla cosca Grande Aracri, lo smaltimento di questo rifiuto, è la chiave che apre praticamente tutte le porte, quando si parla di appetiti criminali: i soldi.

 

Il trattamento in discarica del keu costa oltre 200 euro alla tonnellata. Lerose, secondo gli accertamenti degli inquirenti, si “accontentava” di 60. E anziché riutilizzarlo nella sua versione “lecita”, cioè la realizzazione di conglomerati bituminosi, il keu sarebbe stato frullato nelle baie dei suoi due stabilimenti di Pontedera e Bucine, mescolato ad altri sottoprodotti e rivenduto (o svenduto) sotto forma di un “sabbione”, a chi aveva bisogna di materiale di riempimento da cantiere. Per i clienti di Lerose, la procura di Firenze calcola un ingiusto profitto (derivato dal risparmio nel costo di smaltimento) che oscilla tra i 6 e i 24 milioni di euro.

Nei campi blu non dipinti di blu. Ad attirare il tessuto imprenditoriale sano verso quella zona grigia in cui sguazza anche la malavita, è l’obiettivo di ridurre i costi e quindi di massimizzare i guadagni. Sempre nel settore conciario, a breve comincerà l’udienza preliminare di un’altra inchiesta choc. Choc come il colore che hanno assunto le coltivazioni dei campi “concimati” con il Natifer e il Carbocal. Sotto accusa c’è il defunto Sgs, consorzio che trattava un altro scarto delle produzione conciaria: il carniccio. Dal carniccio sarebbero dovuti nascere dei fertilizzanti. Tentativo lusinghiero di economia circolare, ma fallito sin dai primi spargimenti. Perché il cromo, i cloruri e i solfati, secondo le risultanze investigative, di cui era carico il fertilizzante, fece mutare in blu 150 ettari di campi nelle province di Firenze e Pisa.

 

Tentativo che ricorda il “pulper”, altro abbozzo di “economia circolare” diventato fascicolo giudiziario. Siamo nel distretto cartiario, un’area di 750 chilometri quadrati tra le province di Lucca e Pistoia. Qui arrivano carta e cartone delle raccolte differenziate. I procedimenti industriali necessari al riciclo producono appunto il “pulper”. Può essere un “ammendante” per i terreni agricoli? Per la procura no. Il processo è in corso.

 

La malavita è organizzata. Ci sono infine rifiuti che non trovano “ricollocazione”. Ma la malavita è organizzata anche in questo. Dietro allo smaltimento di ritagli di pelle e stoffa delle confezioni – di Prato, ma non solo – ci sono i clan. Frequenti i sequestri di capannoni, presi in affitto al solo scopo di “nascondere” quello che costa troppo smaltire. Nel febbraio scorso, la Dda di Firenze ne ha sigillati quattro a Santa Maria a Monte. Secondo gli inquirenti, non saranno gli ultimi.

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