Tentacoli:

la mafia in Toscana

Gli affari criminali, il business dei rifiuti, l’assalto al territorio

Mafia, la variante toscana

Dal business dei rifiuti all’infiltrazione nel tessuto economico: la zona grigia sotto la lente degli investigatori

di Stefano Brogioni

Le mafie hanno sviluppato la variante toscana, deformazione particolare e pericolosa dei meccanismi d’infiltrazione: un contagio avvenuto in un tessuto economico sano e appetitoso, veicolato attraverso investimenti in attività lecite, “servizi” per gli imprenditori e consulenze tramite i professionisti.

 

Perché sulle rive dell’Arno, sulle spiagge della costa, tra le vigne del Chianti quasi colpisce la «perdurante assenza» delle forme degli «insediamenti tipici delle cosche», come ha sottolineato il procuratore generale presso la corte d’appello di Firenze, Marcello Viola, in occasione della recente inaugurazione dell’anno giudiziario. Ma anche se non sparano o ammazzano, le mafie sono qui, a riciclare e fare business in giacca e cravatta. Tanto che lo stesso Viola si è chiesto se «abbia ancora senso parlare di semplici infiltrazioni o debba invece ritenersi di essere di fronte a una presenza ormai strutturata, stabile e consolidata».

 

Il covid, poi, è stato un assist alla criminalità organizzata. Secondo il Quinto rapporto sui fenomeni corruttivi e di criminalità organizzata in Toscana, stilato dalla Normale di Pisa e dalla Regione Toscana, alcune criticità dei territori, aggravate dagli effetti della crisi sanitaria, «possono creare nuove opportunità criminali per attività di riciclaggio e di imprenditorialità mafiosa, prodromiche di una presenza organizzativa più incisiva e penetrante».

Fonte: Scuola Normale Superiore/Frush 2021

LE PRESENZE. Nella mappa degli investimenti, il 46% dei beni aziendali è attribuito alla camorra, il 14% a Cosa nostra, il 10% alla ‘ndrangheta. Camorra “leader” anche negli immobili (38%), davanti alla ‘ndrangheta (12%). A Firenze è stato confiscato il 27% delle imprese strappate alla criminalità organizzata, a Arezzo e Pistoia il 17% dei beni immobili, altra “spia” della presenza sul territorio.

 

Nel 2020, sempre secondo il report della Normale, sono stati osservati 42 fenomeni di criminalità organizzata. Il 38% di essi sono la proiezione di organizzazioni criminali di matrice camorristica, che stando a questi numeri si consacra la matrice più diffusa: le sue tracce, emerse da recenti indagini, si sono consolidate in Versilia, nel Valdarno Aretino, nella provincia di Prato e in quella di Pisa. Ma cresce l’ombra della ‘ndrangheta (29% dei fenomeni osservati). A differenza della presenza siciliana (21%), che “lavora” tramite i contatti tra la Sicilia e alcuni soggetti da tempo trasferitisi sul territorio toscano, la consorteria di origine calabrese opera su larga scala e, dopo aver acquisito il controllo dei traffici internazionali di stupefacenti, si sta specializzando nell’«inquinare» l’economia legale «attraverso il coinvolgimento di operatori economici toscani in cartelli di imprese finalizzati alla manipolazione del mercato dei contratti pubblici o di settori economici ad elevata regolazione». Come quello dei rifiuti.

 

Non a caso, il procuratore generale Viola si è rivolto direttamente agli imprenditori «che devono sempre più divenire parte attiva e virtuosa nella difesa del tessuto sano dell’economia», in grado di «resistere a qualsivoglia tentazione di facili scorciatoie».

Il procuratore Marcello Viola
Il procuratore Marcello Viola

LE ULTIME INCHIESTE. La «zona grigia di contiguità» tra imprenditoria e malavita, dove regna un «clima nebuloso in cui tutto si confonde e non è semplice distinguere tra lecito e illecito», per dirla ancora con le parole di Viola, è prepotentemente venuta a galla con l’indagine “keu”, scarto della lavorazione delle pelli nel distretto di Santa Croce sull’Arno.

 

Le indagini della Dda di Firenze non sono ancora concluse ma hanno già emesso un paio di sentenze. La prima è “morale”: la distanza tra un mondo imprenditoriale d’eccellenza come quello delle concerie e la malavita si è annullata, in nome del business. Per abbattere i costi di smaltimento, e dunque incrementare il profitto, i consorzi non hanno esitato a trattare con le emanazioni del clan Gallace di Guardavalle. La seconda sentenza è di tipo ambientale: il keu, sversato senza remore nell’ambiente, ha ammorbato di cromo alcuni nostri territori. E chissà se saranno sufficienti le bonifiche a limitare i danni.

Santa Croce sull'Arno
Santa Croce sull'Arno

SOS LIVORNO. Negli ultimi anni, poi, le cosche calabresi hanno dirottato sul porto toscano i traffici nazionali e internazionali di droga. Come possiamo leggere nel focus dedicato, secondo la Direzione Nazionale Antimafia l’hub labronico «oggi svolge un ruolo non meno importante dello scalo di Gioia Tauro e di quelli liguri, come luogo di arrivo in Europa e comunque in Italia degli stupefacenti che arrivano soprattutto dal Sud America, o direttamente o dopo il primo approdo europeo in altri porti». Per impadronirsi del porto di Livorno, la ‘ndrangheta ha stretto rapporti con gruppi criminali locali e questa sorta di esternalizzazione ha tirato dentro ai traffici operatori portuali e marittimi. Nel 2020, a Livorno – dove sono state movimentate quasi 32 milioni di merci, quarto scalo italiano – è stato sequestrato il 17% della droga “toscana”.

 

LA BOMBA DI FIRENZE. Ma qualche volta, anche qui, le cosche si fanno la guerra e non vale più la regola della presenza silenziosa. Anzi, il botto dell’esplosione che fece saltare in aria l’ingresso di una pizzeria a Porta al Prato, a Firenze, svegliò un’intera città. E non potrà più dormire tranquilla.

 

Quell’ordigno – hanno appurato sinora le indagini – era un avvertimento ai gestori del locale, esponenti del clan Cuomo “emigrati” a Firenze in cerca di nuovi business e per sfuggire ai regolamenti in corso nei loro territori d’origine, in provincia di Salerno. Ma Firenze ha conosciuto il dolore di un’altra bomba, ancora più letale. In via dei Georgofili, il 26 maggio del 1993, la mafia arrivò dritta al cuore della città, seminando morte, danni e terrore. Per quell’attentato è stato condannato, con sentenza definitiva, Francesco Tagliavia, boss della famiglia mafiosa di Corso dei Mille a Palermo.

 

I Tagliavia fanno ancora affari qui in Toscana: secondo l’inchiesta “Golden Wood”, avrebbero riciclato i soldi della mafia commerciando nei pallet, tra Firenze e Prato, confusi nell’imprenditoria sana. «Non è solo il covid a mutare e a divenire in tal modo sempre più insidioso – ha rilevato il procuratore generale Viola – la mafia è a sua volta un virus mutante, che si infiltra nelle imprese, che si confonde con il resto, che diventa fluida e invisibile, che è pronta a immettere sul mercato grandi risorse e disponibilità per acquisire ogni forma di attività redditizia».

 Il porto di Livorno, rampa di lancio del crimine organizzato

Un hub formidabile nel cuore del Mediterraneo

di Alessandro Antico

Il crimine organizzato ha un canale privilegiato d’accesso in Toscana: è il porto di Livorno. L’ennesima cartina di tornasole di questa che ormai possiamo considerare una certezza nella geopolitica delle mafie in Italia e in Europa, arriva dal quinto “Rapporto su corruzione e criminalità” elaborato da Regione Toscana e Scuola Normale Superiore di Pisa con i dati del 2020.

 

Partiamo da un dato globale. I porti toscani nel 2020 hanno movimentato circa il 9,12% delle tonnellate di merci e circa il 7,51% dei teus transitati in Italia. Nel complesso, nel 2020 all’interno del porto di Livorno sono state movimentate 31.781.949 tonnellate di merci; un dato, questo, che lo posiziona al quarto posto nella graduatoria italiana.

 

Nelle sue varie relazioni annuali (2005-2017), la Direzione Nazionale Antimafia fa esplicito riferimento alla centralità del porto di Livorno nel sistema dei traffici illeciti nazionali in 10 relazioni sulle 12 prese in esame. E questo è il secondo dato, sorprendente, perché Livorno si pone addirittura al terzo posto nella classifica nazionale dei porti monitorati dalla Dna.

Il porto di Livorno
Il porto di Livorno

Più nello specifico, la Direzione sostiene che «il porto di Livorno oggi svolge un ruolo non meno importante dello scalo di Gioia Tauro e di quelli liguri, come luogo di arrivo in Europa e comunque in Italia, degli stupefacenti che giungono, soprattutto dal Sud-America, o direttamente o dopo il primo approdo europeo in altri porti». Questa situazione riconduce alla «forte operatività della ‘ndrangheta, in rapporti con gruppi criminali locali d’appoggio».

 

Analizzando i dati ancora più nel dettaglio, balza agli occhi come il numero delle operazioni antidroga effettuate nella provincia di Livorno negli ultimi sette anni sia in progressivo aumento: siamo arrivati infatti al 17% delle operazioni su scala regionale eseguite nel 2020 contro l’8% del 2016.

 

Il porto di Livorno, nello scacchiere criminale, si contraddistingue per la pluralità dei traffici illegali: prodotti contraffatti, contrabbando, contrabbando di sigarette e, non certo ultimo, il traffico di rifiuti, sempre con il «coinvolgimento di attori operanti all’interno dei porti».

 

Nel 2020 il porto di Livorno ha fatto registrare il picco più alto dei sequestri rispetto agli ultimi dieci anni (3.370,79 chili), secondo soltanto a quello di Gioia Tauro per cocaina sequestrata.

“Hanno sotterrato milioni di tonnellate di Keu
Veleni mescolati con altri rifiuti e rivenduti”

Il comandante del nucleo ambientale dell’Arma: “Questa sostanza passa dai terreni alle falde acquifere. Valori di legge superati 50 volte lungo la strada 429 e nell’Aretino”

di Alessandro Pistolesi

Non una traccia isolata, ma milioni di tonnellate disseminate in mezza Toscana. A tanto ammonta il keu trovato dagli investigatori nell’ambito dell’inchiesta che lo scorso aprile ha portato a 23 arresti. Per il tenente colonnello Marta Ciampelli, che comanda il nucleo investigativo di polizia ambientale dei carabinieri forestali, i ritrovamenti sono la prova che conferma le ipotesi avanzate durante la fase investigativa. E cioè l’esistenza di un sistema che smaltiva in maniera illecita le ceneri inquinanti provenienti dalle concerie di Santa Croce. «Le analisi che abbiamo condotto – spiega l’ufficiale – ci hanno permesso di trovare milioni di tonnellate di keu, un materiale che veniva mescolato con altri rifiuti e poi veniva rivenduto».

Il tenente colonnello Marta Ciampelli
Il tenente colonnello Marta Ciampelli

Comandante, dove si sono concentrate le analisi?
«Per adesso abbiamo prelevato campioni da 11 siti diversi. I più recenti riguardano la strada provinciale 7, a Terranuova Bracciolini, in provincia di Arezzo».

 

Quali risultati avete ottenuto?
«Non spetta a noi stabilire se c’è stato, o ci sarà, un danno ambientale. Ma dai nostri prelievi è emerso che in alcuni siti, come la strada regionale 429 nell’Empolese, i valori hanno abbondantemente superato i limiti di legge, fino a 50 volte».

 

I numeri sono molto alti…
«Nel diritto ambientale si applica un principio di precauzione, per cui non si possono stabilire oggi i potenziali danni di domani. Di certo c’è che esistono dei limiti di legge e quelli vanno rispettati».

 

Le famiglie che abitano lungo la 429 sono molto preoccupate…
«Questa sostanza transita dai terreni alle falde e potrebbe arrivare fino ai pozzi dei cittadini. Non sappiamo se ci andrà, né quanto tempo nel caso impiegherà».

 

Si può escludere che il keu si trovi anche nel sottofondo stradale della 429, oltre che nella scarpata?
«I nostri prelievi hanno interessato solo la scarpata, dove sono state trovate ottomila tonnellate di keu. L’investigatore deve trovare le prove del reato, e noi le abbiamo trovate. Ora i dati sono in mano all’autorità amministrativa».

 

Che adesso dovrà occuparsi della bonifica…
«Un’operazione costosa, delicata e complessa».

 

Quanto costosa?
«Dipende dalle modalità di bonifica stabilite dall’autorità amministrativa. A Pisa l’Aeronautica è stata molto efficace nel rimuovere subito il materiale dall’aeroporto militare. Sono stati dei fulmini. Ma non tutti i terreni sono uguali, ognuno ha le sue caratteristiche».

 

Comandante, è possibile che ci siano state falle nei controlli?
«A mio avviso il controllo del territorio è fondamentale per scoprire sistemi illeciti. E saper leggere i segnali è importantissimo. Anche piccoli indizi come sversamenti, abbandoni, aziende che chiudono e poi riaprono sono avvisaglie fondamentali».

 

L’inchiesta keu e la Terra dei fuochi. Ci sono analogie?
«Sono fenomeni troppo diversi. Sì, c’è il traffico di rifiuti finito con un interramento ma accomunare i due fenomeni rischia di essere un’operazione superficiale».

 

Dall’inchiesta emergono pericolose commistioni fra criminalità, economia e politica…
«Credo che un’imprenditoria sana abbia la possibilità di difendersi dalle infiltrazioni. Utilizzo sempre una metafora: un rifiuto che esce fuori dai binari della legge per cercare delle scorciatoie, è un rifiuto che si espone sempre all’attacco dei pirati. Le scelte politiche sono mirate a difendere grossi comparti industriali. Dall’inchiesta è emerso che il problema non sono le concerie ma i vertici. All’eccellenza industriale deve essere affiancata una sana gestione dei rifiuti».

 

Quali sono le azioni di contrasto per prevenire i reati ambientali?
«Si tratta di reati di natura imprenditoriale, presuppongono quindi un ingente spostamento di denaro. Il modo migliore per prevenire è avere un controllo capillare del territorio. E laddove non arrivano le pattuglie, diventa fondamentale l’aiuto dei cittadini. Il loro senso di appartenenza e di rispetto per la legalità e l’ambiente è una risorsa cruciale per contrastare gli ecoreati».

Tra gli indagati dirigenti e politici

I contatti, le cene, i favori per ottenere vantaggi

di Luigi Caroppo

Non sappiamo se la commissione parlamentare d’inchiesta ci sarà. Tra pochi giorni, invece, saranno resi noti i risultati di quella regionale toscana. Le infiltrazioni del keu non sono penetrate solo nei fondali dei terreni, ma anche nei gangli vitali della politica toscana. Nello scenario delle indagini della procura di Firenze e della Direzione investigativa antimafia toscana entrano anche due mandati regionali (le giunte di centrosinistra, la seconda di Enrico Rossi e la prima di Eugenio Giani e i due relativi consigli regionali). E soprattutto un partito, il Pd.

 

Tra gli indagati della bufera seguita alla notizia dell’inchiesta dell’aprile scorso ci sono dirigenti di enti pubblici e politici toscani. In particolare sono indagati lo storico capo di gabinetto del presidente della Regione Toscana Ledo Gori, accusato di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, e il dirigente della Direzione Ambiente della Regione Toscana Edo Bernini, indagato per abuso d’ufficio. Indagata anche la sindaca dem di Santa Croce Giulia Deidda per associazione a delinquere. Sotto inchiesta anche il consigliere regionale toscano del Pd, il pisano Andrea Pieroni a cui viene contestata la corruzione.

I settori della corruzione
Fonte: Scuola Normale Superiore/Frush 2021

L’inchiesta coinvolge il vertice dell’Associazione Conciatori di Santa Croce sull’Arno, i cui membri, secondo le verifiche degli investigatori, rappresentano il fulcro decisionale di tutto l’apparato sotto indagine. Contestati a vario titolo i reati di associazione a delinquere aggravata dall’agevolazione mafiosa, traffico illecito di rifiuti, inquinamento e impedimento del controllo da parte degli organi amministrativi e giudiziari. Per gli inquirenti gli esponenti indagati al vertice dell’Associazione Conciatori sono riferimento di un sistema che agisce con le modalità di un sodalizio organizzato per la commissione di reati, utilizzando a tale scopo vari consorzi in un comparto industriale – la concia delle pelli – a particolare rischio ambientale per i rifiuti, «la cui gestione illecita provoca conseguenze in termini di contaminazione delle falde, dei corsi d’acqua, dei terreni, dell’ambiente, del suolo laddove gli scarichi industriali vengano smaltiti illecitamente o a seguito di procedure insufficienti».

 

È stato inoltre verificato, spiegano Dda e Arma dei carabinieri, che «il peso economico del comparto, consente ai suoi referenti di avere contatti diretti che vanno anche oltre i normali rapporti istituzionali con i vertici politici e amministrativi di più enti pubblici territoriali, che a vario titolo avrebbero agevolato in modo sostanziale il sistema, alcuni dei quali figurano fra gli indagati». È questo il legame tra imprenditori-amministratori-politici emerso dall’inchiesta.

 

Secondo l’inchiesta Ledo Gori si sarebbe reso disponibile a soddisfare le richieste del gruppo protagonista dell’indagine in cambio dell’impegno da parte degli imprenditori di chiedere esplicitamente al candidato a presidente della Regione Eugenio Giani – estraneo alle indagini – e poi allo stesso Giani come presidente eletto, di confermarlo nel suo incarico come capo di gabinetto.

 

Secondo quanto accertato dagli investigatori in una cena del marzo del 2020, nel corso della campagna elettorale, e in successive visite elettorali nel comparto conciario, il vertice operativo dell’associazione Conciatori avrebbe chiesto al candidato a presidente della Regione Eugenio Giani di confermare Ledo Gori nell’incarico di capo di gabinetto, facendo capire al candidato, sostiene sempre l’accusa, che questa sarebbe stata condizione essenziale per avere il sostegno degli imprenditori del settore conciario nella corsa elettorale.

 

Il Pd toscano da subito ha alzato un muro di no comment, o quasi, intorno alla vicenda. La frase di rito «Abbiamo fiducia nella magistratura, gli indagati faranno piena luce sulla vicenda» è risuonata più volte. Il segretario dem Enrico Letta in uno slancio dialettico ha detto a margine di un’iniziativa a Cascina, in provincia di Pisa: «Noi abbiamo sempre avuto e manteniamo anche oggi grande rispetto della magistratura e per le scelte e le sentenze. Le rispetteremo sempre, perché questa autonomia è sacrosanta. Da parte mia non ci saranno mai atteggiamenti che non siano in questa linea, che si tratti di Salerno, della Toscana o di qualunque parte d’Italia. Questo è l’atteggiamento giusto rispetto a una divisione dei poteri che noi rispettiamo». Giù il sipario e silenzio. In attesa che il caso sbollisse, cosa mai avvenuta, e che le risultanze d’indagine fossero incardinate o meno nel procedimento giudiziario.

Preoccupazione è stata espressa dall’associazione ‘Libera’ che ha sottolineato, nelle settimane dopo la notizia dell’inchiesta, che «la novità è rappresentata dal coinvolgimento degli attori politici». I territori e gli ambienti economici coinvolti «rappresenterebbero, secondo quanto descritto dagli inquirenti, un contesto accogliente e favorevole agli interessi dell’attore mafioso. Tutti gli attori economici e sociali, e i partiti in primo luogo, sono chiamati a restituire un senso, un’etica, una prospettiva alla loro attività, in relazione non solo al contrasto alle mafie, ma anche – e forse prima ancora – alla tutela del bene comune». E ancora: «È necessario ed urgente ridefinire il campo semantico della discussione politica, rimettendo al centro del dibattito pubblico tre parole-chiave fondamentali: trasparenza, integrità ed etica pubblica. Trasparenza, elemento fondamentale per il controllo di chi ha responsabilità pubbliche, affinché l’agire politico possa essere realmente rendicontabile e monitorato; etica e integrità sono gli altri due pilastri che devono tornare centrali nelle agende di ciascuna comunità, in primis dei partiti, ma anche del mondo delle imprese e delle professioni, a tutela del bene comune e degli interessi di tutti». Parole durissime e più che giustificate.

 

Il capro espiatorio dell’intera vicenda non poteva mancare come in ogni scandalo che si rispetti. L’unico a pagare, prima che la giustizia si potesse esprimere, è stato Ledo Gori. Il Presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, ha interrotto il rapporto di fiducia con lui, gli uffici del personale della Regione hanno definito la conclusione del trattamento economico: e il potente Capo di Gabinetto, per decenni braccio destro di Enrico Rossi, si è così ritrovato in pensione anzitempo.

Ledo Gori
Ledo Gori

Lui si è professato sempre estraneo e ha controbattuto alle accuse. Con il suo avvocato ha annunciato battaglia legale. Non molla di un centimetro, insomma. Se ne va dagli uffici fiorentini un pezzo della storia politica-amministrativa: di fatto un prepensionamento politico.

 

Restano al loro posto gli altri indagati. Il dirigente massimo dell’assessorato Ambiente Edo Bernini, ex capo dei vigili urbani di Rignano sull’Arno, la sindaca del Pd Giulia Deidda, il consigliere dem Andrea Pieroni che siede nell’assemblea toscana.

 

Oltre alla defenestrazione di Gori, l’altra novità che scaturisce dalla notizia dell’inchiesta è il ritiro del famoso emendamento scottante al centro del filone d’inchiesta sul rapporto tra imprenditori e politici. Era stato approvato dal consiglio regionale toscano, allora presieduto da Eugenio Giani, il 26 maggio 2020.

 

Si è corso ai ripari: e così la proposta di legge 32 con «disposizioni in materia di depurazione a carattere prevalentemente industriale» va ad abrogare l’articolo 12 della legge regionale 32 del 2020 e apporta modifiche all’articolo 13 bis della legge regionale 20 del 2006, oggetto dell’emendamento in questione che puntava a sottrarre il consorzio Aquarno di Santa Croce sull’Arno dall’obbligo di sottoporsi alla procedura di autorizzazione di integrazione ambientale (Aia). Lo stesso articolo era stato poi impugnato dalla Corte costituzionale. In particolare il testo approvato toscana modifica i commi 1, 6, 7 e 8 dell’articolo 13 bis della legge regionale 20 del 2006.

 

L’emendamento scottante era stato proposto da quattro consiglieri regionali del Pd: Andrea Pieroni (indagato perché, secondo le accuse, in cambio della proposta di modifica della legge avrebbe ricevuto un sostegno per la campagna elettorale), Antonio Mazzeo, Enrico Sostegni e Alessandra Nardini (non indagati). Delle nuove disposizioni legislative si era parlato in commissione ambiente nel marzo 2020 «senza fare accenno alcuno all’emendamento» ha ricordato Paolo Marcheschi, allora consigliere regionale di Fratelli d’Italia. Poi il silenzio fino alla fine di maggio 2020 quando la legge è arrivata in aula con «la sorpresa» dell’emendamento fino «ad allora sconosciuto e non dibattuto».

 

Secondo il presidente della Toscana Eugenio Giani «quell’emendamento non ha mai avuto effetto» e quindi, in quanto sotto il giudizio della Corte costituzionale, andava tolto subito dall’ordinamento toscano. Non ha pensato così l’opposizione di centrodestra che ha evidenziato come Giani «volesse nascondere la polvere sotto il tappeto», ma «la sostanza non si cancella con un colpo di spugna».

Eugenio Giani
Eugenio Giani

L’ex presidente della Regione Toscana Enrico Rossi è stato ascoltato dalla commissione regionale sulle infiltrazioni mafiose presieduta dalla leghista Elena Meini. Ha ricordato di aver incontrato Andrea Pieroni nell’ottobre 2019 e di avergli detto espressamente che il governo avrebbe stoppato l’emendamento. Poi tutto si è fermato causa pandemia, ma l’emendamento è saltato nuovamente fuori e viene riproposto, portandolo in consiglio regionale «in modo un po’ subdolo e senza che lo sapessi» ha sottolineato l’ex governatore. «È stato un errore politico anche da chi non ha votato o è stato zitto» ha evidenziato Rossi.

 

Da Erica Mazzetti, deputata pratese di Forza Italia, è partita la richiesta di istituire una commissione d’inchiesta parlamentare. Mentre si attende la calendarizzazione, lancia un appello a tutti gli schieramenti perché la richiesta vada a buon fine: «Si tratta di una vicenda drammatica – dice – danni alla vita delle persone, dell’ambiente, danni che dobbiamo ancora quantificare, e danni di immagine a un distretto produttivo che deve confrontarsi con un mercato globale. Stanno emergendo gravissime infiltrazioni delle cosche, attratte dal business dei rifiuti. Invito per tutto quei i colleghi a mettere da parte le appartenenze politiche e collaborare affinché si faccia piena chiarezza e si lavori insieme per evitare problemi simili con il ciclo dei rifiuti. Non è la mia commissione d’inchiesta, è un atto dovuto a tutti i danneggiati».