Il presente e le sue incertezze

A che punto siamo: i morti, i casi, i vaccini

di Arnaldo Liguori

In due anni di pandemia, si stima che più di due miliardi di persone abbiano contratto il virus che causa il Covid-19. Benché i dati ufficiali registrino circa 450 milioni di contagi, in molti Paesi il tracciamento è inesistente e quindi molte infezioni sono sfuggite. Per questo motivo, anche le 6 milioni di vittime – una cifra già di per sé terrificante – sono certamente sottostimate. Secondo i calcoli della Johns Hopkins University, il tributo di morti richiesto dalla pandemia è compreso tra 14,1 e 23,6 milioni. Facendo una media, si tratta di quasi 20 milioni di vite perdute.

Il dominio di Omicron e l’efficacia dei vaccini • Dalla scoperta del virus, il mondo ha affrontato diverse ondate pandemiche: le due più gravi all’inizio del 2020 e nell’inverno del 2021. In tutti i casi, all’aumento dei contagi è seguito un aumento dei decessi. O almeno fino a questo momento. L’ultima ondata, dominata dalla variante Omicron (che rappresenta oltre il 95 per cento dei casi globali) è diversa dalle altre. Negli ultimi mesi, a fronte di un’impennata senza precedenti di infezioni non è seguito un aumento comparabile di morti: il tasso di sopravvivenza nel 2022 è stato molto più elevato. Questo grazie ai vaccini e alla più lieve malattia causata dalla variante Omicron.

Rischi e sottovalutazioni • Questo non vuol dire che la situazione non sia pericolosa. Omicron ha ucciso decine di migliaia di persone ogni giorno durante il picco invernale: per le persone non vaccinate, l’infezione rappresenta ancora un grave pericolo. Nell’Unione europea, i tassi di vaccinazione e la preparazione dei sistemi sanitari hanno fatto la differenza: nei Paesi dell’Est, in particolare, l’ultima ondata ha trovato delle popolazioni scarsamente vaccinate, provocando durissime perdite. La stessa tendenza è stata registrata anche in diversi Paesi asiatici, africani e sudamericani.

Ricchi e poveri • I vaccini contro il Covid-19 hanno cambiato radicalmente il corso della pandemia, riducendo per chi è vaccinato la possibilità di ospedalizzazione e morte di oltre il 90 per cento. Nel corso della più grande campagna vaccinale della storia umana, sono state somministrate quasi 11 miliardi di dosi. Tuttavia, la distribuzione dei sieri è stata tremendamente diseguale: secondo l’agenzia Bloomberg, i Paesi con i redditi più alti sono stati vaccinati 10 volte più velocemente di quelli con i redditi più bassi. Ancora oggi, in Africa, ci sono nazioni dove la popolazione che ha ricevuto una dose è meno del 5 per cento.

 

La questione africana • Il basso tasso di vaccinazioni africana è un problema per tutto il mondo, poiché più un virus si replica, maggiore è la possibilità che sorgano nuove varianti. Per questo l’Organizzazione mondiale della sanità ha spiegato che finché almeno il 70 per cento della popolazione mondiale non sarà possibile porre fine alla pandemia. Per raggiungere l’obiettivo, non solo è fondamentale fornire sieri al continente, ma è necessario stanziare risorse e mezzi per supportare l’organizzazione necessaria somministrare i vaccini agli oltre 900 milioni di africani non vaccinati.

Italia • Nel nostro Paese, l’ondata di Omicron iniziata a dicembre 2021 ha causato circa 25 mila morti. Tuttavia, nell’ultimo mese il numero di nuovi casi è diminuito di oltre il 200 per cento, passando dai 4,5 milioni di gennaio agli 1,4 milioni di febbraio. Le terapie intensive, salvo in alcune regioni, hanno retto piuttosto bene. L’unico dato leggermente preoccupante è quello riferito alla prima settimana di marzo, che ha fatto registrare di nuovo un aumento del tasso di positività al tampone dal 9 al 12 per cento nell’arco di sette giorni. In ogni caso, l’84 per cento dell’intera popolazione italiana è vaccinato e con l’arrivo della bella stagione le stime e i precedenti indicano che assisteremo a un miglioramento degli indicatori pandemici.

 Ansie, disillusioni e baby gang: per i ragazzi il Long Covid è nella mente

di Simone Stimolo

I numeri della pandemia sono in netto calo e a due anni dall’inizio dell’emergenza Covid sembra che vaccini e politiche restrittive abbiano sortito l’effetto sperato. Ma le conseguenze? Un rapporto Oms rileva che solo nel primo anno di pandemia a livello globale il senso di ansia e depressione è aumentato del 25 per cento. Le strutture territoriali spiegano che sempre più giovani manifestano disagio psicologico. Ed è esploso il fenomeno delle baby gang. Tutte voci di un malessere diffuso che molto sembra avere a che fare con la pandemia. E ora che le restrizioni si allentano come gestire questa nuova fase della nostra convivenza con il virus? Innanzitutto, imparando a prendere coscienza che «le delusioni possono esserci e anche essere cocenti», senza però «perdere la capacità di illudersi, nel senso di credere in un futuro migliore». A dirlo è il professor Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di europsicofarmacologia, che in questi due anni ha sviluppato il concetto di sindemia, la pandemia che porta con sé un (pesante) pacchetto di conseguenze anche emozionali.

 

Professor Mencacci non è facile ripartire e fermarsi, ripartire e fermarsi… «Le ripercussioni sono state molte in questo periodo. Ma bisogna pensare alla disillusione come agnosticismo della speranza. Non rinunciando a coltivare quest’ultima».

 

Come sempre, quelli più esposti sono i ragazzi. Ai quali servono strumenti. «Soprattutto i ragazzi delle superiori o del primo anno di università sono stati colpiti più gravemente, perché hanno perso in parte i momenti più delicati dello sviluppo. Gli studi ci hanno detto che un adolescente su 4 ha i segni clinici della depressione. Uno su 5 soffre di disturbi d’ansia. Il Covid ha colpito tutti, ma non tutti sanno trovare la risposta».

Gilda, 23 anni, ed Eugenio, 20, convivevano da sei mesi, ma al momento del decreto più restrittivo si trovavano dai rispettivi genitori, e lì sono rimasti, anche se a pochi chilometri di distanza. Non hanno saputo gestire la lontananza attraverso gli strumenti tecnologici e sono nati litigi e incomprensioni. Il 4 maggio li ha ricongiunti e tutto è tornato alla normalità (Marco Trinchillo)

E una conseguenza sembra essere il fenomeno esploso delle baby gang e della movida fuori controllo. Soprattutto in Lombardia i casi si moltiplicano. Suggestione giornalistica o è così? «Intanto una considerazione: il lockdown non ha interrotto la circolazione degli stupefacenti, anzi. Tuttavia l’uso o abuso di sostanze o di alcol ci sono sempre stati. Il fenomeno delle gang è piuttosto un fenomeno identitario. Molti ragazzi magari già vivevano situazioni di sofferenza socio-ambientale che il lockdown e le restrizioni non hanno fatto che amplificare».

 

In che modo? «L’aspetto nuovo è la solitudine degli adolescenti, specie degli adolescenti in Dad. Alcuni già timidi si sono chiusi definitivamente, altri si sono invece spenti e ora scontano la ripresa. Quello che vediamo, allarmante, è la diminuzione degli stimoli cognitivi».

Eppure l’ultima ondata è stata meno dura, per quanto riguarda l’isolamento. Più giorni di scuola assicurati ad esempio… «Il merito del Governo è stata la riapertura delle scuole. Ma pensiamo a chi ha svolto la maturità nel 2019 e poi ha iniziato il percorso universitario con questa incertezza… È anche per questo che gli adolescenti si sono dimostrati più “sani” di tanti adulti e sono corsi a vaccinarsi: questa è la dimostrazione più potente che abbiamo avuto, ma non stiamo ancora tornando a come era prima. Il ritorno allo stato di equilibrio è progressivo».

 

L’estate si avvicina, per fortuna. «Ma non è sull’estate che si può contare. È dopo che vedremo cosa abbiamo imparato da questa traversata del deserto. Il tema è quello della protezione al chiuso, avere il buon senso di preservare l’altro».

Puglia 2020, “Zia Lucia”, 92 anni. La quarantena, oltre a isolarla dai suoi affetti, l’ha privata della possibilità di fare la sua passeggiata quotidiana, fondamentale per contrastare l’artrosi (Danilo Garcia Di Meo)

Con le mascherine ad esempio. Lo faremo indipendentemente dalle norme? «In alcune culture è una consuetudine, il rispetto degli altri e dell’altrui salute».

 

C’è più attenzione al tema della salute però, anche mentale. Pensiamo al bonus psicologo. «È un tema delicato. La pandemia emozionale è stata fortissima e chi è stato più colpito, penso anche agli anziani, ne porterà con sé a lungo le conseguenze: è questo il Long Covid. Intervenire sulla salute mentale è importante, ma bisogna finanziare la sanità pubblica. Il bonus tout court pone delle domande cui va data risposta. Sì a interventi, ma non a favore di una classe di professionisti. Non è un ristoro. Ci vogliono indicazioni chiare su come utilizzare le risorse. Si può cominciare a fare un po’ di prevenzione, anche sul fronte della salute mentale?»

 

Si può? «Spero sempre di trovare ascolto sia a livello nazionale sia regionale».

 

Tornando ai ragazzi, come star loro vicini? «Prima di tutto viene l’ascolto, a partire dalle famiglie. Poi, laddove c’è bisogno, indirizzare a un aiuto che abbia validità scientifica. Aiutando i giovani a condividere le loro emozioni, funzione che può assolvere la scuola. E ritrovare l’educazione all’affettività».

 

Ricominciare ad abbracciarsi? «L’esperienza di crescita deve essere vissuta anche in maniera corporeo/sensoriale. La crescita non è una cosa virtuale».

I fatti inoppugnabili sulla variante Omicron

di Arnaldo Liguori

A distanza di tre mesi dalla sua scoperta, la variante Omicron del virus Sars-Cov-2 porta ancora con sé dubbi e speranze. Da una parte, ha suscitato timori a causa della sua capacità di eludere i vaccini e della maggiore contagiosità. Dall’altra, poiché la malattia che provoca è meno grave rispetto a quella di altre varianti, molti esperti auspicano che sia possibile conviverci senza mettere sotto pressione i sistemi sanitari. Ma cosa sappiamo esattamente? Nel corso delle ultime settimane, centinaia di scienziati hanno pubblicato decine di studi sulla variante Omicron e ora è possibile mettere in fila alcune conclusioni circa la sua trasmissibilità, la sua resistenza ai vaccini e la sua mortalità.

 

Trasmissibilità • Omicron è certamente molto più contagiosa rispetto alla variante Delta. In meno di un mese dalla sua comparsa, grazie alla sua capacità di eludere l’immunità generata dai vaccini e dalle precedenti infezioni, è diventata dominante in quasi tutto il mondo. Un’indagine compiuta dall’Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito ha analizzato la catena dei contagi di quasi 52 mila persone risultate positive a Omicron e Delta a metà dicembre. È emerso che quelle che avevano Omicron hanno infettato circa il 16 per cento dei loro contatti domestici, mentre le persone infettate da Delta solo l’11 per cento. Anche fuori casa, il rischio di infettare qualcuno è risultato essere il doppio (8 per cento contro 4 per cento).

Resistenza di vaccini • Un imponente studio del New England Journal of Medicine condotto su oltre 2,7 milioni di soggetti e pubblicato a inizio marzo ha concluso che l’efficacia del vaccino contro la variante Omicron rispetto alla Delta è inferiore «a tutti gli intervalli dopo la vaccinazione e per tutte le combinazioni di cicli primari e dosi di richiamo studiate». Questo vale per tutti i sieri: AstraZeneca, Moderna e Pfizer-BioNTech. Dopo tre mesi dalla seconda dose, l’efficacia dei vaccini nel prevenire le forme sintomatiche della Omicron è circa al 30-35 per cento, dopo sei mesi scende al 10-15 per cento. Soltanto con la terza dose l’efficacia torna intorno al 70 per cento (contro la Delta è efficace al 95 per cento).

La migliore protezione vaccinale • Lo studio britannico ha valutato anche la l’efficacia data dalle varie combinazioni vaccinali. In particolare, hanno scoperto che la maggiore protezione contro Omicron è fornita da due dosi del siero Pfizer-BioNTech e una terza dose di Moderna (efficacia al 73,6 per cento). È appena inferiore, tra il 64 e il 67 per cento, quella data dalle altre combinazioni. L’efficacia più bassa, al 55,6 per cento, è quella fornita da tre dosi di AstraZeneca (non indicata nel grafico sottostante).

La mortalità • Benché più contagiosa e più resistente ai vaccini, Omicron causa una malattia più lieve rispetto alla Delta in quanto colpisce maggiormente le vie aeree superiore e in maniera inferiore i polmoni. Secondo uno studio pubblicato a febbraio su The Lancet e condotto su 1,5 milioni di pazienti, il rischio di ricovero è più basso del 59 per cento, mentre il rischio di morte è inferiore del 69 per cento. Questo fatto, unito a un’alta copertura vaccinale, è il motivo per cui in Italia l’impatto della quarta ondata sugli ospedali è stato molto inferiore rispetto al passato. Nonostante il numero di contagi senza precedenti, infatti, i decessi sono rimasti piuttosto contenuti.

L’effetto dei vaccini • A ben vedere, la variante Omicron sta provocando danni soprattutto tra la popolazione non vaccinata. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto superiore di sanità, rispetto a coloro che sono vaccinati con terza dose, i non vaccinati finiscono in terapia intensiva 16 volte più spesso e hanno un tasso di morte 15 volte maggiore. In questo momento, il virus sta circolando con una libertà che non ha mai avuto, infettando sia vaccinati che non vaccinati. Per un vaccinato, tuttavia, contrarre oggi il coronavirus non vuol dire essere malato, perché difficilmente svilupperà forme gravi o finirà in ospedale (soprattutto se ha meno di 80 anni). Al contrario, non vaccinarsi rappresenta un rischio sempre più grave e inutile.

Da Galli a Bassetti, da Crisanti a Burioni: le nuove star. E la stampa?

di Gianluca Bosia

Prima del Covid-19 quasi nessuno li conosceva e si ignorava l’esistenza di virologi, infettivologi, epidemiologi o cosa fosse il loro lavoro. Eppure sono medici, ricercatori e scienziati che ogni giorno nei loro laboratori studiano i virus e cercano una ricetta per combatterli. Prima della Bestia c’erano stati mucca pazza, l’aviaria, l’Hiv, l’H3N2, la Sars, l’influenza suina, l’ebola. Ma il Covid è stato uno tsunami: una dimensione mondiale e una virulenza letale che hanno fatto esplodere anche la richiesta di notizie e la caccia all’esperto. Una legittima fame di sapere di tutti noi.

 

Star per necessità • Pregliasco, Galli, Crisanti, Viola, Burioni e Bassetti, solo per fare qualche nome, si sono trovati con il compito di spiegarci prima cosa fosse il Covid poi, giorno dopo giorno, cosa stesse succedendo, come difenderci, perché vaccinarci e cosa ci aspetta domani. Una popolarità inimmaginabile per seri studiosi, da star di X-Factor o Italia’s Got Talent, amplificata dai social, alla quale pochi di loro erano pronti. E sullo stesso fronte si sono trovati i giornalisti: pochissime le redazioni con esperti nel comunicare medicina e scienza. Tutti, dai politici ai medici stessi, erano impreparati davanti a un qualcosa di devastante e impensabile. E l’informazione pure.

Il virologo Fabrizio Pregliasco durante la somministrazione di vaccini anti-Covid nel centro vaccinale di Novegro, vicino a Milano (Daniel Dal Zennaro)

Tra notizia e fake • Inevitabilmente soprattutto nella prima fase, c’è stata grande confusione e inseguimento di notizie che poi si sono dimostrate fake o bufale come si diceva una volta. «Prima del Covid c’erano solo gli Angela, Onder e pochi altri giornalisti capaci di spiegare e verificare la correttezza delle informazioni medico scientifiche». Parole di Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Irccs Galeazzi e professore associato di Igiene Generale e Applicata del dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università degli Studi di Milano. «Lo ha detto Pregliasco» è una garanzia per molti di noi, ma non da oggi: da “mucca pazza” della metà anni Novanta è il riferimento principe dei giornalisti. L’esperto che ogni anno spiegava come sarebbe stata l’influenza o un nuovo virus. «Senti Pregliasco», diceva il capocronista quando bisognava spiegare una banale influenza o «una malattia strana». E lui c’era con la sua capacità di farsi capire anche dal cronista che a fatica sapeva la differenza tra un virus e un batterio. «Da sempre – spiega Pregliasco – fa parte della mia attività comunicare l’educazione alla salute e come evitare le malattie ma con il Covid è esplosa la richiesta di informazione e in tanti siamo stati chiamati. Ci hanno definiti virologi, infettivologi ma, io ad esempio, nasco come specialista in Igiene e Medicina Preventiva ma virologo è più chiaro per tutti».

 

“Appesi” alle loro spiegazioni • Lui e gli altri ci hanno informato sul Covid e su come difenderci ma non sempre l’approccio degli esperti ha funzionato bene. La differenza di visioni tra di loro per chi ascoltava o leggeva ha anche creato confusione e paure. «Diciamo – spiega Pregliasco – che in alcuni momenti era palese che il re fosse nudo, senza risposte e soprattutto senza tempo per fare le verifiche e arrivare a una certezza. Pensavamo fosse una guerra lampo, invece si è rivelata una guerra di trincea. Alcuni di noi non erano preparati all’effetto che certe dichiarazioni hanno sulla gente e poi si è arrivati addirittura a organizzare programmi stile tribuna elettorale mettendo a confronto le diverse opinioni».

Grazie a un’idea di Renato Favero, ex primario dell’ospedale di Gardone Val Trompia (Brescia), la maschera snorkeling di Decathlon è stata trasformata in respiratore. Nei laboratori dell’azienda The FabLab si producono valvole che collegano la maschera alle bombole di ossigeno (Mirko Cecchi)

È la stampa, bellezza! • Dagli scienziati ai giornalisti. «In questi anni spesso mi hanno chiamato cronisti di nera e di bianca e che come tali affrontavano il problema. Anche loro sono stati mandati in prima linea». Un modo diplomatico per dire che parte dell’informazione ha seguito un’onda emotiva e cronistica più che scientifica. «Se usciva la notizia che gli esquimesi si curavano con il peperoncino per alcuni giorni sembrava che la soluzione fosse stata trovata. E invece era una bufala. Anche l’approccio con la pandemia nelle Rsa è stato spesso sbagliato. Alcune ricerche legittime, perché il compito della scienza è provare e verificare, si sono dimostrate non corrette ma sono state strumentalizzate politicamente».

 

La parabola • Per Pregliasco e i suoi colleghi è stata una parabola di popolarità che ha toccato il punto più basso con le minacce sui social o fisiche da parte di no vax. «Sfiducia nella ricerca – dice Pregliasco tra lo sconsolato e l’arrabbiato – ma anche strumentalizzazione politica: basta vedere come è stato utilizzato Montagnier. Curava con la papaya… Già perché la battaglia contro il Covid è stata ed è anche quella tra informazione scientifica e “dice mio cugino che…”». Ma questa è una pagina che non si chiude con il Covid. La disinformazione è un virus contro il quale a oggi non c’è vaccino.

Il vero alleato del Covid-19 è la disinformazione

di Arnaldo Liguori

Durante la pandemia di Covid-19, un livello senza precedenti di disinformazione sul virus e sui vaccini si è diffuso rapidamente sulle piattaforme dei social media, minando l’efficacia della risposta delle autorità sanitarie e alimentando l’esitazione vaccinale. In tutto questo, le affermazioni talvolta contradditorie, parziali e opinabili degli esperti e della stampa tradizionale hanno peggiorato la situazione, creando un ambiente di disordine informativo che ha confuso il pubblico.

 

Super-diffusori di menzogne e complotti • In Italia, le 34 maggiori fonti di disinformazione sul Covid-19 e sui vaccini hanno, complessivamente, più di 14 milioni di follower su Facebook. È quanto emerge da un’analisi condotta da Newsguard, una piattaforma internazionale che verifica l’affidabilità delle fonti d’informazione. I siti analizzati pubblicano ripetutamente notizie false o fuorvianti, non distinguono tra fatti e opinioni, usano titoli ingannevoli e, spesso, non indicano né gli autori né i responsabili del sito. Per lo più, portano avanti narrative specifiche: enfatizzano la paura e gli effetti avversi dei vaccini, descrivono presunti complotti legati a case farmaceutiche o governi stranieri oppure propagandano false e pericolose cure per il Covid-19.

L’ascesa di internet • Nel 2021, internet ha sorpassato la televisione come fonte d’informazione più diffusa tra gli italiani: il 76 per cento dichiara di informarsi sul web ogni settimana, contro il 75 della tv (molti, ovviamente, usano entrambi). Il dato allarmante, in tutto questo, è che nonostante quattro italiani su cinque affermino di non avere fiducia nelle notizie che leggono sui social media, metà di loro li utilizza comunque per informarsi. E lo fa quasi ogni giorno.

 

Il ruolo dei social media • Il Reuters institute for the study of journalism ha rilevato che coloro che usano i social media hanno maggiori probabilità di essere esposti a disinformazione rispetto ai non utenti. I principali canali di diffusione di fake news sono Facebook e WhatsApp. Uno studio condotto in Italia su 1,5 milioni di contenuti pubblicati su Facebook in oltre 80 mila pagine, ha scoperto che la disinformazione ha prodotto una polarizzazione nel pubblico. Alcuni utenti finivano per navigare su un insieme limitato di pagine/gruppi ed erano potenzialmente esposti a una vasta gamma di contenuti “nocivi”, dalla propaganda estrema, alla disinformazione.

Bolle e camere dell’eco • Nell’ultimo decennio, centinaia di studi hanno dimostrato che i social media sono l’ambiente ideale per la diffusione di notizie false. Secondo due tra gli studiosi più autorevoli in materia, Eli Pariser e Cass Sunstein, il motivo principale è che le piattaforme come Facebook facilitano la nascita di gruppi con posizioni radicali o con la stessa visione del mondo. E questo avviene in due modi. Da una parte, i social fanno selezionare alle persone cosa vedere e cosa non vedere (attraverso like, following e hashtag). Dall’altra, gli algoritmi registrano gli interessi e le preferenze degli utenti, mostrando loro soltanto contenuti in linea con le loro opinioni. Il risultato è che sui social media gli utenti trovano principalmente informazioni che confermano, e quindi rafforzano, le loro convinzioni. Questo conduce le persone ad adottare un approccio passivo e acritico nei confronti delle notizie che ricevono, rendendoli più indifesi nei confronti di quelle false o ingannevoli. Tutto ciò può anche dare loro un senso di falsa sicurezza sulla propria capacità di valutare le notizie stesse.

 

Polarizzare la pandemia • All’interno di queste “bolle” le persone che condividono fake news o che hanno idee errate sulla pandemia entrano facilmente in contatto con altri che la pensano come loro. E così, i social media favoriscono la nascita di gruppi compatti di individui che negano l’esistenza del Covid-19 o ne minimizzano gli effetti. Questa tendenza è stata rilevata da diverse fonti, tra cui uno studio della Royal society e un’indagine dell’Us national institute of health. Tra i gruppi più suscettibili alla disinformazione, inoltre, è stata riscontrata una maggiore titubanza verso i vaccini e una minore aderenza alle misure di prevenzione anti-Covid.

(Pexels)

Esperti e disordine informativo • Il problema non viene solo dai social media. Secondo la giornalista ed esperta di comunicazione sanitaria Roberta Villa, molti danni sono stati provocati anche da giornalisti, esperti e referenti istituzionali. In Italia, spiega Villa, «siamo stati bombardati 24 ore al giorno da un insieme di notizie vere, false, fuori contesto, vere a metà. Quindi il problema non è tanto la bufala clamorosa ma questo disordine informativo che crea confusione e disorienta il pubblico». In tutto questo marasma, poi, «è mancata un’informazione istituzionale coerente, sicura, affidabile e facile da reperire».

Antidoti poco efficaci • Per porre rimedio a ciò che l’Organizzazione mondiale della sanità ha definito «una pandemia della disinformazione online» i giornalisti sono fondamentali. Tuttavia, la scarsa fiducia che il pubblico nutre nei confronti dei media e della stampa tradizionale compromette la loro capacità di combattere le fake news. A causa di questa sfiducia, secondo un’analisi realizzata dalle università di Bologna, Sassari e Urbino, «alcuni cittadini rifiutano sistematicamente le notizie diffuse dai media mainstream considerandole a priori false o falsificate», mentre le fonti che «si definiscono esplicitamente “alternative” ricevono attenzione e credito».