di Cristina Rufini | 11 gen 2022
“Lo rifarei? Sì, per lo stesso motivo che mi ha portato a decidere di impegnarmi la prima volta. Pur mantenendo ferma la convinzione che non mi piace fare affari sulle tragedie. E le assicuro che la Concordia non è stato un affare, ma ci ha ridato dignità e questo in quel momento era prioritario”.
Dieci anni dopo Silvio Bartolotti, 77 anni, patron di Micoperi, romagnolo con qualche “antenato toscano” come ama sottolineare lui stesso, non cambia idea. Anzi. Ma continua a essere convinto che allora, nel 2012, non poteva seguire una rotta diversa da quella scelta: far parte dell’impresa ritenuta impossibile di risollevare la Costa Concordia naufragata davanti all’Isola del Giglio.
Partiamo da qui: perché decise di impegnarsi in questa sfida titanica?
“Perché da pazzo romagnolo sentimentale come sono ero stufo di sentir dire che gli italiani erano tutti degli Schettino. Non era così allora e non lo era mai stato in passato. Spinto quindi dall’orgoglio patriottico quando mi fu prospettata la possibilità, non senza remore, iniziai a lavorarci, consapevole già allora che non sarebbe stato un lavoro da cui guadagnare. Tanto è vero che nell’ultima pagina del contratto di appalto firmato con Titan, depositato presso i Lloyd’s di Londra, c’è scritto chiaramente”
Cioè?
“Nell’ultima pagina del documento che sono riuscito a recuperare proprio di recente c’è chiaramente riportato che lo scopo dell’intervento al Giglio era ridare dignità a una nazione, l’Italia, che in quel momento l’aveva persa e che se mai ci fosse stato un margine di guadagno, allora quello sarebbe stato devoluto all’Isola del Giglio”.
Sa di filantropia…
“Mah, le posso solo ribadire che la molla che mi ha spinto a impegnare risorse, uomini e mezzi in questa impresa è stata l’onorabilità del mio Paese: ero consapevole fin dall’inizio che non ci sarebbe stato guadagno se non morale di chi ha vinto una sfida ritenuta impossibile sotto i riflettori del mondo intero”.
Torniamo agli inizia, come è stato coinvolto?
“Dall’interno della mia azienda. Sono stato informato da miei uomini che alcuni broker stavano cercando aziende che potessero affiancare Titan Salvage nell’impresa. Mi fu detto: ‘Dai, perché non ci proviamo?’. Alla mia rimostranza, sempre la stessa, che non mi va di guadagnare sulle disgrazie, mi fu risposto: ‘L’Italia, in questo momento storico, dopo questo disastro, non può tirarsi indietro’. Compresi appieno il messaggio, e mi piacque: c’era da ricostruire una dignità. Allora sì e mi misi subito alla ricerca di professionisti esperti e di cui mi fidavo”
Senza esitazione e nessun dubbio o timore di non farcela?
“Timori forse, ma quando ebbi la risposta positiva dei due professionisti che avevo contatto per coinvolgerli, in quel momento esatto ebbi la convinzione che il relitto sarebbe stato portato via dal Giglio”.
Andiamo per ordine…
“Convinto a provarci, convocai due bravissimi tecnici con cui avevo già lavorato in passato: l’ingegnere navale Mario Scaglioni, marchigiano di origine da anni trapiantato a Venezia e l’ingegnere Tullio Balestra. Li contattai, andammo a pranzo e a tavola chiesi loro se se la sentivano di imbarcarsi in questa impresa. Seguirono attimi di silenzio, mi guardarono, si guardarono e poi mi chiesero 24 ore di tempo per pensarci. Quando mi telefonarono la sera successiva accettando, per me la Concordia stava già lasciando il Giglio”.
Ma qual è stato l’ingrediente in più che ha permesso la riuscita di un’impresa ritenuta impossibile?
“Guardi, senza dubbio il gruppo di persone illuminate che vi hanno partecipato. Senza precedenti, mi creda, difficile da ricreare un simile team. Mi piace ricordare, oltre i due ingegneri, su tutti l’allora capo della Protezione civile Franco Gabrielli, poi commissario all’emergenza Concordia, che ha seguito giorno dopo giorno l’attività sull’isola. Ogni tipo di intervento. Voleva essere informato su tutto, su ogni singola mossa dei 500 uomini che sono stati impegnati sull’isola nel momento di massima accelerazione delle operazioni di recupero e trasferimento a Genova. Voleva informazioni su ciascuna presenza nell’isola. Una figura istituzionale di grande moralità, così lo ricordo. Con lui, non posso dimenticare l’ammiraglio Stefano Tortora, l’occhio attento della Marina Militare, persona squisita e competente. In sostanza un intreccio di grande collaborazione fra pubblico e privato che ha permesso la riuscita dell’impresa, oltre ovviamente alla capacità delle aziende coinvolte”.
E i suoi ingredienti?
“Determinazione, elemento essenziale per superare ogni ostacolo e amore per ciò che si fa”.
Il Giglio oggi?
“Un paradiso terrestre, mi creda. Dopo la profonda pulizia dei fondali, che è proseguita per anni dopo la dipartita del relitto, considerando che è stata conclusa nel 2018, quel mare ora è meglio di prima”.
Micoperi e Bartolotti nel post Concordia?
“Si sono impegnati a superare la profonda crisi del 2015, vuoi per il mercato nazionale e internazionale, ma anche sicuramente per l’affare Concordia, da cui, come avevo immaginato fin dall’inizio, non ci sarebbe stato da guadagnare. Passando da fatturati raggiunti negli anni precedenti fino a 420milioni all’anno ai 20 milioni…ma mi lasci dire che non c’è stato alcun licenziamento e mai un’ora di cassa integrazione per i miei dipendenti. E ci siamo reinventati”.
Come?
“Ci siamo concentrati sulla diversificazione delle attività: sull’eolico offshore e sul meraviglioso mondo delle micro alghe, con Micoperi Blue Growth: un pianeta incredibile, consideri che ne esistono 110mila specie. Ci siamo concentrati sulla ricerca in questo campo di organismi unicellulari che sono in grado di produrre fotosintesi, indicate anche come fonti di energia rinnovabile, ma utilizzate pure per garantire biomasse algali da impiegare nel settore farmaceutico e agricolo”.
La Concordia sembra molto lontana?
“Lo è. Rimarrà un’opera grandiosa, forse unica. Ma si va avanti, c’è ancora molto da scoprire e da approfondire attorno a noi”. In fondo la stella cometa di Bartolotti resta sempre la stessa: non guadagnare sulle tragedie.
di Cristina Rufini | 11 gen 2022
“Sembra un palazzo sventrato dalle bombe, come quelli di Beirut”. E’ stato tra i primi e più ricorrenti commenti la mattina del 17 settembre 2013 quando la Concordia fu sollevata e rimessa in asse: lo skyline della piccola isola del Tirreno cambiava di nuovo, non più una balena di acciaio spiaggiata, adagiata su fianco e agganciata agli scogli di punta Gabbianara, ma un gigante ferito a morte, imponente, rimesso in posizione di galleggiamento per affrontare l’ultimo viaggio.
E il pensiero che inevitabilmente andava a chi in quegli anfratti fangosi e ferrosi ci aveva perso la vita. Poche ore prima dell’alba, intorno alle 4 si era concluso con successo il parbuckling… l’impresa che molti nel mondo ritenevano impossibile era andata a buon fine, trenta mesi dopo il naufragio. Il lato sfregiato, deformato di una delle navi da crociera più importanti di Costa si era così mostrato al mondo intero.
Dentro di sé aveva ancora due vittime da recuperare. Ma il sentimento che quel giorno si respirava al Giglio era di enorme soddisfazione: la collaborazione italoamericana tra Micoperi e Titan ce l’aveva fatta, il nutrito gruppo di persone, tra tecnici e operai di 26 nazionalità, che sono stati anche 500 nel momento di massima accelerazione dei lavori, guidati dal team di ingegneri coordinati dal sapiente direttore di orchestra Nick Sloane, aveva portato a termine la parte più complessa dell’intero progetto di rimozione: sollevare l’enorme ammasso di acciaio da 114mila tonnellate di stazza, per settanta metri di altezza, 280 di lunghezza e 35 di larghezza.
Raddrizzamento che era stato preceduto dalla delicatissima operazione di svuotamento del carburante conclusa il 24 marzo 2012, ad opera di Smith Salvage in collaborazione con l’italiana Tito Neri.
Il progetto vero e proprio di rimozione, in 5 fasi, è iniziato nel maggio successivo con l’ancoraggio alla roccia del relitto, concluso a fine novembre 2012. Poi il via ai lavori di raddrizzamento, che ha avuto come prodromo la preparazione del falso fondale (composto da sei piattaforme di acciaio e da sacchi riempiti di malta cementizia) dove far ruotare il relitto per rimetterlo in asse.
Non prima della sistemazione dei primi undici sponson (cassoni) costruiti da Fincantieri sul lato emerso, per realizzare una parte della ‘ciambella’ necessaria a far galleggiare il gigante. Una ciambella di trenta cassoni complessivi, dopo i 19 installati dopo il raddrizzamento, prima della partenza per Genova. “Il risultato è stato eccezionale, davvero un’impresa fantastica da vedere”, queste le prime parole di Nick Sloane appena sceso dalla piattaforme Polluce, dove era rimasto per 19 ore: la cabina di regia con altri undici tecnici, sistemata davanti al relitto per guidare e controllare le operazioni di raddrizzamento, avvenuto grazie all’azione dei martinetti idraulici (gli ormai famosi strand jack realizzati da Fagioli) che hanno messo in tensione i cavi di acciaio fissati a nove dei cassoni centrali e alle piattaforme subacquee: un gioco delicatissimo di somministrazione di forza tirante, gestito dalla cabina di regia in mare.
Troppa forza avrebbe potuto far ribaltare la nave: uno dei timori in quei giorni. Il ribaltamento dalla parte del lato con i cassoni avrebbe significato l’affondamento definitivo.
Non è andata così. La Costa Concordia è stata risollevata in 19 ore, con una rotazione di 65 gradi. Mai così nella storia. Per un’impresa simile bisogna andare indietro con la memoria, nel 1943, con il raddrizzamento della nave da guerra Oklahoma, affondata nella battaglia di Pearl Harbor, ma allora si trattava di una nave molto più piccola: 32mila tonnellate di stazza, di contro alle 114mila della Concordia, che rimane, ad oggi, impresa unica.
Due ali di acqua e il suono delle sirene hanno annunciato l’ultima traversata in mare della Concordia: così il 24 luglio 2014 il relitto imbracato dai trenta cassoni e guidato ancora da captain Nick Sloane, questa volta con la cabina di regia sull’ultimo ponte della nave, ha lasciato dopo due anni e mezzo il Giglio e i suoi abitanti.
Un viaggio lungo alcuni giorni, con qualche timore per correnti marine e meteo bizzarro, che si è concluso con l’arrivo il 27 luglio nel porto di Genova Voltri, dove poi è iniziato lo smantellamento, non prima del recupero dell’ultimo vittima, il cameriere Russel Rebello.
Lo smantellamento si è concluso il 7 agosto del 2017, operazione che ha permesso di recuperare gran parte dello scafo, per 53mila tonnellate di acciaio, il materiale smaltito pari a 8mila tonnellate. Trecentocinquanta gli operai impiegati nello smantellamento.
La Concordia nel 2018 è stata cancellata dal registro navale. Non possiamo non ricordare, qui, che durante le operazioni di sistemazione dei cassoni sul lato danneggiato, dopo la riemersione, il 2 febbraio 2014 perse la vita il sommozzatore spagnolo Isreale Franco Moreno, 40 anni, ferito gravemente a una gamba durante un intervento subacqueo e deceduto per dissanguamento: da allora viene considerato la trentatreesima vittima del naufragio.
Il progetto vero e proprio di rimozione, in 5 fasi, è iniziato nel maggio successivo con l’ancoraggio alla roccia del relitto, concluso a fine novembre 2012. Poi il via ai lavori di raddrizzamento, che ha avuto come prodromo la preparazione del falso fondale (composto da sei piattaforme di acciaio e da sacchi riempiti di malta cementizia) dove far ruotare il relitto per rimetterlo in asse.
Non prima della sistemazione dei primi undici sponson (cassoni) costruiti da Fincantieri sul lato emerso, per realizzare una parte della ‘ciambella’ necessaria a far galleggiare il gigante. Una ciambella di trenta cassoni complessivi, dopo i 19 installati dopo il raddrizzamento, prima della partenza per Genova. “Il risultato è stato eccezionale, davvero un’impresa fantastica da vedere”, queste le prime parole di Nick Sloane appena sceso dalla piattaforme Polluce, dove era rimasto per 19 ore: la cabina di regia con altri undici tecnici, sistemata davanti al relitto per guidare e controllare le operazioni di raddrizzamento, avvenuto grazie all’azione dei martinetti idraulici (gli ormai famosi strand jack realizzati da Fagioli) che hanno messo in tensione i cavi di acciaio fissati a nove dei cassoni centrali e alle piattaforme subacquee: un gioco delicatissimo di somministrazione di forza tirante, gestito dalla cabina di regia in mare.
Troppa forza avrebbe potuto far ribaltare la nave: uno dei timori in quei giorni. Il ribaltamento dalla parte del lato con i cassoni avrebbe significato l’affondamento definitivo.
Non è andata così. La Costa Concordia è stata risollevata in 19 ore, con una rotazione di 65 gradi. Mai così nella storia. Per un’impresa simile bisogna andare indietro con la memoria, nel 1943, con il raddrizzamento della nave da guerra Oklahoma, affondata nella battaglia di Pearl Harbor, ma allora si trattava di una nave molto più piccola: 32mila tonnellate di stazza, di contro alle 114mila della Concordia, che rimane, ad oggi, impresa unica.
Due ali di acqua e il suono delle sirene hanno annunciato l’ultima traversata in mare della Concordia: così il 24 luglio 2014 il relitto imbracato dai trenta cassoni e guidato ancora da captain Nick Sloane, questa volta con la cabina di regia sull’ultimo ponte della nave, ha lasciato dopo due anni e mezzo il Giglio e i suoi abitanti.
Un viaggio lungo alcuni giorni, con qualche timore per correnti marine e meteo bizzarro, che si è concluso con l’arrivo il 27 luglio nel porto di Genova Voltri, dove poi è iniziato lo smantellamento, non prima del recupero dell’ultimo vittima, il cameriere Russel Rebello.
Lo smantellamento si è concluso il 7 agosto del 2017, operazione che ha permesso di recuperare gran parte dello scafo, per 53mila tonnellate di acciaio, il materiale smaltito pari a 8mila tonnellate. Trecentocinquanta gli operai impiegati nello smantellamento.
La Concordia nel 2018 è stata cancellata dal registro navale. Non possiamo non ricordare, qui, che durante le operazioni di sistemazione dei cassoni sul lato danneggiato, dopo la riemersione, il 2 febbraio 2014 perse la vita il sommozzatore spagnolo Isreale Franco Moreno, 40 anni, ferito gravemente a una gamba durante un intervento subacqueo e deceduto per dissanguamento: da allora viene considerato la trentatreesima vittima del naufragio.
di Cristina Rufini | 11 gen 2022
“Sollevare la Concordia sarà un po’ come metterle ali di acqua. Come avvolgere un bambino con un salvagente”. E’ agosto del 2013 quando Nick Sloane, allora 52 anni, sudafricano, vero regista delle operazioni di parbuckling e rimozione della Concordia all’Isola del Giglio, fa questa suggestiva similitudine per spiegare che cosa sarebbe accaduto di lì a poco. Captain Sloane lo aveva già chiaro che cosa sarebbe accaduto un mese dopo. Non per superbia o tracotanza, caratteristiche che proprio non gli appartengono, ma per convinzione che con umiltà e conoscenza, grazie al massimo impegno di cinquecento persone prima e delle 12 su quella notte magica, e con po’ di aiuto dall’Alto, l’impresa sarebbe riuscita. E così è stato.
Non senza qualche timore come dichiarerà lo stesso Sloane dopo la riemersione del relitto quando, accerchiato lui questa volta da ali di folla, soddisfatto e sorridente, con in mano una bandiera del suo Sudafrica, scese dalla chiatta Polluce dove era stata allestita la cabina di regia, vicino alla prua della nave, e con un enorme sorriso passò tra la folla per raggiungere un bar e bersi una birra. Ce l’aveva fatta, dopo 19 ore la Concordia si era rimessa in verticale, mostrando il suo lato ferito, squarciato: l’ immagine indimenticabile della tragedia. Il lato di dritta ferito a morte che in quei giorni qualcuno paragonò ai palazzi sventrati di Beirut. Ma si era rialzata. In quell’esatto momento Sloane ha la completa percezione dell’impresa compiuta. Storica.
“E’ stato come essere su di un ottovolante”, dichiarerà più volte nel corso dei mesi successivi. Era abituato alle imprese il sudafricano, prima di allora aveva alle spalle già 27 anni di salvataggi in mare, spesso di petroliere o cargo. Era già stato salvage master. Ma lì, nella minuscola isola del Tirreno, con gli occhi del mondo puntato addosso come non mai, con una enorme balena d’acciaio da 114mila tonnellate agganciata a uno sperone di roccia si giocava molto, bastava un guizzo di forza in più nel tirare le funi di acciaio e il relitto si sarebbe potuto ribaltare e a quel punto affondare definitivamente. Non avrebbe più potuto mietere vittime, ma avrebbe ferito gravemente una delle perle del Tirreno. Ma al Giglio quel 17 settembre è stata scritta tutta un’altra storia. Poco meno di un anno dopo, il 24 luglio la partenza, l’addio della balena di acciaio. E nella cabina di comando, questa volta alloggiata sull’ultimo ponte del relitto, ancora lui a dirigere le operazioni per raggiungere la meta finale: il porto di Genova. Da allora sono trascorsi sette anni che sono serviti a Sloane per voltare pagina senza però potere o voler dimenticare gli anni della Concordia, al Giglio. Come lui stesso oggi ci racconta.
Quali le immagini rimaste impresse nella memoria di quei giorni
“Il tempo trascorso sull’isola è stato sorprendente: vedere i gigliesi riprendersi dallo choc iniziale per poi iniziare lentamente a credere che la nave avrebbe potuto essere rialzata e rimossa … in un unico pezzo! Sensazioni che non si possono scordare. Ovviamente non è stato semplice, non eravamo di fronte a un semplice incidente marittimo, ma a un grave disastro con più di quattromila persone sbarcate nella notte sulla piccola isola. E dobbiamo pensare che è stato davvero un piccolo miracolo che solo 32 persone hanno perso la vita. Avrebbero potuto essere centinaia, o anche più di mille”.
Come fu accolto?
“Quando sono arrivato i gigliesi erano scioccati e molti di loro non credevano che la nave sarebbe mai stata rimossa. Abbiamo stretto amicizia con la gente del Giglio e abbiamo anche imparato molto sull’affascinante storia dell’isola. E’ stato difficile, ad esempio, credere che il Castello fosse il custode dei tesori del Vaticano nei tempi passati”.
I ricordi di quella interminabile notte del parbuckling?
“Quando la nave è stata risollevata, la mattina del 17 settembre 2013, circa 20 mesi dopo il naufragio, gli isolani hanno suonato le campane della chiesa e l’intero porto è stato un alveare di energia positiva. Energia che è continuata per i successivi dieci mesi, quando abbiamo rimesso a galla il relitto e quando il 24 luglio la nave è ripartita per Genova, il saluto è stato un’emozione per tutti. Allora ho letto negli occhi dei gigliesi la convinzione che potevano iniziare a riprendersi la propria vita”.
Cosa ha fatto in questi anni?
“Me ne sono andato definitivamente nel 201, poi ho studiato Global Leadership all’Università di Oxford (Said School of Business) poi nel 2016 sono entrato a far parte del Resolve Marine Group e sono tornato a Ito Salvage, che è la mia passione…”.
E’ mai tornato sull’isola dopo luglio 2014?
“Sì, sono tornato due volte: nel 2015 e poi di nuovo nel 2017, quando ho portato mia moglie con me l’ultimo fine settimana di settembre…”.
Un messaggio alla gente del Giglio.
“Non dimenticherò mai l’isola e i suoi meravigliosi abitanti: le loro splendide acque e i vini Asonica. Tutto quello che abbiamo vissuto insieme è stato qualcosa di molto raro e speciale, ma speriamo davvero di non dover rivivere tutto questo. Come ho detto altre volte, la Costa Concordia non è stato solo un altro naufragio, ma un incredibile ottovolante emotivo per tutti coloro che ne sono stati coinvolti: un immane disastro marittimo! Cercherò quindi di tornare sull’isola, ma questa volta per rilassarmi e godermi la sua ospitalità”.
di Michela Berti | 11 gen 2022
La rimozione del relitto Concordia è stata un’operazione tecnico-ingegneristica unica nel suo genere ed estremamente complessa. Definito dagli esperti “il più grande progetto di recupero navale della storia”, per il quale sono state impiegate le migliori competenze a livello internazionale, tecnologie d’avanguardia e oltre un miliardo di euro.
Il progetto ha seguito delle priorità: il rispetto dell’ambiente, la sicurezza del luogo di lavoro e la salvaguardia della vita socio-economica dell’Isola del Giglio. Esigenze non semplici da far convivere.
Franco Porcellacchia, coordinatore del progetto di rimozione della Concordia, ha detto: «La rimozione del relitto Concordia è stata un’operazione tecnico-ingegneristica unica nel suo genere, per la quale sono state impiegate le migliori competenze internazionali, tecnologie d’avanguardia e risorse finanziarie senza precedenti. I princìpi su cui si è sempre basato il progetto sono stati quelli della salvaguardia dell’ambiente e della sicurezza. Anche la successiva fase di smantellamento e riciclo quasi completo dei materiali di cui era composto il relitto ha rappresentato uno dei più importanti esempi di “green ship recycling” mai realizzati in Europa».
Il primo intervento fatto è stato il recupero del carburante e di raccolta e smaltimento dei rifiuti e delle acque nere, complessa operazione durata due anni, da maggio 2012 a luglio del 2014. Nel cantiere hanno lavorato 500 persone nelle fasi preparatorie del parbuckling, e oltre 350 i tecnici per la fase di rigalleggiamento. Il 23 luglio del 2014 il relitto è stato trasportato nel porto di Genova dove è avvenuto lo smantellamento e il riciclo dei materiali.
Tutti gli occhi puntati su Genova per questo progetto di “green ship recycling” mai realizzato in Europa. Il recupero del carburante è stato effettuato dalla società Smit Salvage BV, che si è avvalsa della collaborazione della compagnia livornese Tito Neri. Sono stati aspirati 2.042,5 m3 di idrocarburi.
Il 14 gennaio 2012 è iniziato il recupero del materiale galleggiante, prima ad opera delle strutture emergenziali poi da parte di Costa Crociere. Il 13 marzo 2012 le Smit Salvage BV e Tito Neri hanno terminato le operazioni di svuotamento delle acque nere. In totale sono state rimosse circa 24 tonnellate di materiali.
Il progetto di rimozione che ha vinto il bando di gara è stato quello del consorzio composto dalla Titan Salvage, società statunitense appartenente a Crowley Group, leader mondiale nel settore del recupero di relitti, e dalla Micoperi, società italiana con una lunga esperienza nell’ingegneria ed installazione di strutture offshore e tubazioni sottomarine. I lavori per la rimozione del relitto dall’isola del Giglio sono iniziati a fine maggio 2012, dopo l’approvazione delle operazioni previste da parte della Conferenza dei Servizi convocata dal Commissario delegato dal Governo italiano, Franco Gabrielli.
A novembre 2012 sono stati completati l’ancoraggio e la stabilizzazione del relitto. Nell’estate 2013 è stata completata la preparazione del falso fondale su cui far poggiare la nave, che ha richiesto il lavoro di una squadra di 120 subacquei. In questa fase sono stati posizionati e saldati sul lato emerso del relitto 11 cassoni in acciaio necessari per la fase di rotazione e, successivamente, per il rigalleggiamento. La fase del raddrizzamento del relitto o rotazione in assetto verticale è iniziata il 16 settembre e terminata il giorno successivo, con una operazione senza precedenti durata 19 ore. Poi è stata effettuata una verifica delle condizioni del relitto per valutarne lo stato complessivo. Nell’estate 2014, per mezzo di un sistema pneumatico i 30 cassoni sui due lati sono stati progressivamente svuotati dall’acqua e fornendo la spinta necessaria a fare rigalleggiare lo scafo e prepararlo al trasporto.
Il 23 luglio 2014, alle 11, il relitto di Concordia ha lasciato l’Isola del Giglio per essere trasportato al porto di Genova Voltri. Il Concordia era al centro di un convoglio composto da 14 mezzi navali. Dalla sua partenza dall’Isola del Giglio il convoglio ha percorso una distanza totale di 200 miglia nautiche, procedendo a una velocità media di due nodi. L’arrivo nell’area del porto di Genova Voltri è avvenuto il 27 luglio, intorno alle14.
L’operazione di trasferimento è stata gestita da Titan Micoperi e con le autorizzazioni e la supervisione della Guardia Costiera italiana. Infine la demolizione e il riciclo del relitto sono state effettuati da un consorzio composto da Saipem e San Giorgio del Porto e sono terminate nel luglio 2017. Le operazioni, iniziate nel porto di Genova Voltri, sono proseguite poi nell’area dell’ex Superbacino del porto di Genova, per terminare poi nel bacino di carenaggio numero 4 delle Riparazioni Navali. Sono stati impegnati 350 addetti, per un milione di ore di lavoro complessive. Sono state coinvolte 78 aziende e fornitori, dei quali il 98% italiani, che hanno recuperato e riciclato quasi il 90% dei materiali, pari a oltre 53mila tonnellate.