Inchiesta

Le vittime del naufragio: in memoria delle vite stroncate

Vite spezzate

Sono trentadue le persone morte nel disastro della Costa Concordia. Ognuna su quella nave inseguiva il suo sogno di felicità

Sono turisti e lavoratori della nave, gente che sulla
Concordia era salita per sbarcare il lunario e altri per concedersi una vacanza, festeggiare un anniversario, stare qualche giorno con figli e nipoti. Storie diverse, nomi che il tempo non scalfisce. Ecco chi erano le vittime

Maria Grazia Trecarichi

50 anni, di Leonforte (Enna)

Si trovava sulla nave con la figlia Stefania e il fidanzato di quest’ultima, Andrea Ragusa entrambi salvi. Insieme a loro Luisa Antonia Virzì, amica di Maria Grazia, anche lei 50 anni e morta anhe lei nel naufragio. Tutti imbarcati sulla Concordia il 12 gennaioEntrambe le amiche persero la possibilità di salire sulla scialuppa perché scese in cabina a prendere i giubbotti di salvataggio. Maria Grazia è stata la penultima vittima ad essere recuperata a ottobre 2013, l’amica Luisa dopo tre mesi.

Russel Rebello

33 anni, di Mumbai (India)

Cameriere di sala sulla Costa Concordia, lavorava nel mondo delle crociere da diversi anni. Si era imbarcato sulla Concordia il 12 novembre 2011. Al momento dell’impatto era in cabina perché influenzato. L’ultima volta, secondo le testimonianze fu visto senza giubbotto di salvataggio alla stazione 7 di attesa delle scialuppe, sul ponte 4. Ultima vittima a essere recuperata.

Dayana Arlotti

5 anni, di Rimini

Era con il padre Williams, 37 anni, e la compagna Michela Maroncelli, che si è salvata. Mentre padre e figlia sono morti nel naufragio e i loro corpi recuperati, abbracciati, il 22 febbraio.

Williams Arlotti

37 anni, di Rimini

Era con la figlioletta Dayana di 5 anni. Caddero mentre stavano tentando di raggiungere una zona più a poppa, per cercare di mettersi in salvo, ma l’inclinazione sempre più accentuata aveva fatto diventare i corridoi dei ponti pozze di acqua dove padre e figlia sono caduti e annegati. La compagna che camminava davanti a loro, come da lei raccontato, è riuscita a mettersi in salvo. Si era imbarcato insieme alla figlia quello stesso giorno a Civitavecchia.

Gabriele Grube

52 anni, di Oberasbach (Germania)

Abitava in Baviera. Era in crociera in Italia con l’amica Angelika Blank, che si è salvata. Si erano imbarcate a Savona il 7 gennaio. Morta probabilmente mentre stava cercando disperatamente una scialuppa per mettersi in salvo. Il suo corpo è stato recuperato il 23 gennaio 2012.

Gerald Frank

70 anni di White Bear Lake (Minnesota, Usa)

Lavorava al dipartimento dell’Agricoltura del Minnesota, la vacanza sulla Costa Concordia era per festeggiare il pensionamento. Era con la moglie Barbara Ann Heil, 71 anni, morta anche lei. I loro corpi furono recuperati il 26 marzo tra la parete delle nave e il fondale.

Barbara Heil

71 anni, di White Bear Lake (Minnesota, Usa)

Morta insieme al marito Gerald Frank nel naufragio. La coppia aveva quattro figli.

Luisa Antonia Virzì

50 anni, di Enna (Sicilia)

Era un’impiegata comunale. Aveva tre figli ed era amica di Maria Grazia Trecarichi, anche lei morta nella sciagura. Il suo corpo è stato recuperato il 12 aprile 2012, sul lato destro, vicino a un vano di accesso alle scale di poppa.

Maria D’Introno

30 anni, di Biella

Gestiva una tabaccheria. Era di origini pugliesi ma abitava in Piemonte dal 2005. Era con il marito Vincenzo Roselli , i fratelli e i genitori di lui, tutti salvi. Tutti si erano imbarcati il 7 gennaio a Savona. L’ultima volta è stata vista viva dal cognato sul ponte 4 mentre stava salendo su una scialuppa insieme al marito, pochi istanti prima che la nave si ribaltasse definitivamente.

Michael Blemand

25 anni di Val d’Oise (Francia)

Era un agente di sicurezza incendi e un buon nuotatore. Originario della Guadalupa, era in crociera con la fidanzata Mylene, Litzler (23 anni), morta anche lei. Si erano imbarcati l’8 gennaio. Il suo corpo e quello della fidanzata sono stati recuperati il 22 febbraio del 2012, nel vano ascensori che era diventato una pozza infernale.

Mylene Litzier

23 anni di Val d’Oise (Francia)

Fidanzata di Michael Blemand, aveva desiderato tanto questa vacanza con lui. Anche il suo corpo è stato recuperato nel vano ascensori vicino al ristorante Milano, insieme a quello del fidanzato e di padre e figlia Arlotti.

Sandor Feher

39 anni, di Budapest (Ungheria)

Violinista, di etnia Rom, era imbarcato sulla Costa Concordia come musicista insieme agli altri due componenti del trio Bianco. Stava suonando al momento dell’impatto. Non ha trovato posto sulla scialuppa. Il suo corpo è stato recuperato il 17 gennaio 2012, dentro la tromba del primo ascensore di poppa.

Thomas Alberto Costilla Mendoza

49 anni, di Trujillo (Perù)

Lavorava come uomo delle pulizie sulla Costa Concordia. Si era imbarcato sulla Concordia l’8 novembre 201. Era laureato in antropologia. Al momento dell’impatto era in servizio nei ponti più in alto della nave. Il suo corpo è stato recuperato la notte stessa del naufragio.

Erika Fani Soria Molina

35 anni, di Cusco (Perù)

Sulla Costa Concordia si era imbarcata il 14 novembre 2011 e lavorava come addetta ai cocktail nel Wine bar Budapest, sul ponte 5. Era in servizio al momento del naufragio. Il suo corpo è stato recuperato il 28 gennaio tra la nave e gli scogli.

Giuseppe Girolamo

30 anni, di Alberobello (Bari)

Era un musicista, il batterista del gruppo dei Dee Dee Smith, che al momento del naufragio stavano suonando nel Gran Bar Berlino al ponte 5 sulla Costa Concordia. Nella fasi concitate dei soccorsi sembra che fosse riuscito a trovare posto su una scialuppa, ma non ce l’ha fatta. Probabilmente è caduto in acqua e non sapendo nuotare è morto annegato. Il suo corpo è stato recuperato il 26 marzo tra il fondale roccioso e la nave inclinata.

Francis Servel

71 anni, di Ramonville-Saint-Agne (Francia)

Festeggiava sulla Costa Concordia i 60 anni della moglie Nicole Salomon Servel. Francis Servel era un militare in pensione, i coniugi si erano imbarcati l’8 gennaio. Aveva ceduto il suo salvagente alla consorte, che si salvò. Entrambi si gettarono in acqua dopo non essere riusciti a trovare posto sulle scialuppe. Servel è stata la prima vittima a essere recuperata, in mare, poco dopo l’inizio dei soccorsi. Era ancora in vita, morì poco dopo.

Elisabeth Bauer

79 anni, tedesca dell’Assia

Si era imbarcata insieme all’amica Margarethe Neth, 71 anni il 7 gennaio. Entrambe sono state trovate morte nel vano ascensori il 22 febbraio. Insieme a loro viaggiava Ruth Caroline Kraus, che è sopravvissuta.

Margarethe Neth

71 anni, tedesca dell’Assia

Si era imbarcata il 7 gennaio insieme all’amica Elisabeth Bauer. Entrame morte.

Guillermo Bual Gaudes

69 anni, di Maiorca (Spagna)

Appassionato di crociere, si era imbarcato insieme con la nipote Ana Gual Barcelò e a suo marito il 9 gennaio. Insieme a loro altri crocieristi. E’ stato trovato morto il 15 gennaio 2012 nel corridoio vicino al ristorante Milano.

Horst Galle

66 anni, di Berlino

È morto sulla Concordia insieme alla moglie Margrit Schroeter. Il corpo di lui è stato recuperato il 17 gennaio 2012 all’interno della tromba del primo ascensore di poppa. Molto tempo dopo, il 23 febbraio, quello della moglie, che era poco distante e senza giubbotto di salvataggio.

Margrit Schroeter

60 anni, tedesca

Era la moglie di Horst Galle. Entrambi deceduti.

Norbert Josef Ganz

71 anni, di Muhlheim am Main

Tedesco, era sulla nave per festeggiare le nozze d’oro con la moglie Christina Ganz, 72 anni, anche lei morta nel naufragio. Si erano imbarcati il 7 gennaio e i loro corpi sono stati recuperati il 26 marzo tra il fondale della Gabbianara e la nave.

Christina Ganz

72 anni, tedesca

Era in crociera con il marito Norbert Ganz.

Jeanne Gregoire

70 anni, di Besancon (Francia)

Era un’insegnante in pensione. Insieme al fratello Pierre Gregoire, 69 anni, si era imbarcata l’8 gennaio. Entrambi sono morti.

Pierre Gregoire

69 anni, di Besancon (Francia)

Falegname in pensione, era vedovo da poco. Si era concesso questa crociera per distrarsi insieme con la sorella Jeanne.

Egon Hoer

75 anni di Stoccarda

Si era imbarcato il 7 gennaio insieme alla moglie Waltraud Karle, che si è salvata. Il suo corpo è stato recuperato sul ponte 2, settimane dopo il naufragio.

Jean-Pierre Micheaud

62 anni, di La Rochelle (Francia)

Era un assicuratore andato in pensione non molto tempo prima. Si era imbarcato sulla Concordia l’8 gennaio insieme alla moglie Beatrice Wartel Micheaud. Lui si assicurò che lei salisse su una scialuppa, ma non c’era più posto, allora si gettò in mare ma morì di ipotermia. La moglie è riuscita a salvarsi.

Inge Schall

72 anni, tedesca

Si era imbarcata il 7 gennaio con il compagno Waldemar Krieg che si è salvato. Al momento di salire sulla scialuppa al ponte 4 sono stati fermati perché era piena. Poi la scelta di buttarsi in acqua quando ormai la nave era alla massima inclinazione, ma Inge non ce l’ha fatta. Il suo corpo è stato recuperato il 23 gennaio sul ponte 4.

Siglinde Stumpf

67 anni, tedesca

Si era imbarcata da sola il 7 gennaio da Savona. Il suo corpo fu rinvenuto il 24 gennaio sul ponte 3 dai sommozzatori dei vigili del fuoco. Probabilmente era nella cordata di coloro che nel disperato tentativo di salvarsi tentarono di attraversare la nave da un lato all’altro.

Joseph Werp

73 anni, tedesco

Lui e la moglie Brunhild erano esperti viaggiatori, avevano girato i cinque continenti. Si erano imbarcati il 7 gennaio. Poco dopo l’urto con gli scogli lui chiamò la figlia per rassicurarla dicendole che entrambi stavano attendendo di salire sulla scialuppa. Il suo corpo è stato recuperato il 17 gennaio 2012 nella tromba del primo ascensore di poppa.

Brunhild Werp

68 anni, tedesca

Era con il marito, morto anche lui nel disastro. Il suo corpo è stato recuperato il 23 febbraio 2012 poco distante da quello marito, senza giubbotto di salvataggio e vicino al ristorante Milano.

Giovanni Masia

86 anni, di Portoscuso (Carbonia-Iglesias, Sardegna)

Usciva dalla Sardegna per la prima volta nella sua vita, insieme alla moglie Giuseppina Puddu, 83 anni, che si è salvata. Era sulla Concordia con lei, il figlio Claudio e i nipoti, tutti salvi. Si erano imbarcati l’11 gennaio. Il suo corpo fu recuperato in un pozzo creatosi all’interno di un vano ascensore, vicino a uno dei ristoranti della nave, considerando che l’intera famiglia al momento dell’impatto era a cena.

Kevin, che per mille giorni ha aspettato il fratello

“L’ho riportato a casa, è la mia sola consolazione”

di Francesco Marinari | 11 gen 2022

“Dieci anni dopo ci lascia un grande insegnamento: ogni uomo deve fare il suo dovere fino in fondo. Amava il suo lavoro, e quella notte è morto aiutando i passeggeri della Costa Concordia a mettersi in salvo”. Dieci anni dopo le emozioni sono ancora lì, in fondo all’anima di Kevin Rebello, fratello di Russell, cameriere indiano, l’ultima delle 32 vittime uscite dalla pancia di una nave che adesso non c’è più. Smantellata, cancellata fisicamente ma non nella mente di chi su quella nave ha perso un pezzo di famiglia, il sangue del suo sangue.

Kevin Rebello, dieci anni dopo fa i conti con il suo dolore ma anche con quello dei suoi genitori, che hanno perso un figlio in quella notte di grida, buio, caos. Kevin Rebello vive in Italia da 23 anni. Da prima che il fratello Russell decidesse di andare per mare con le navi da crociera. Prima come cuoco, poi come cameriere, “perché era più facile entrare nel giro dei contratti annuali”, racconta Kevin. Ha navigato in tutto il mondo ed è morto in Italia. Un Paese nel destino di due fratelli che qui hanno trovato benessere e dolore, vita e morte. Due fratelli che raramente potevano vedersi visti gli impegni lavorativi ma che rimanevano in contatto.

 

“Ci vedemmo una volta a Genova, lui stava rientrando in India per la prima volta dopo la sua esperienza in Italia, io decisi di scendere da Milano per salutarlo”, dice. Fratelli uniti ma che il destino e il lavoro divisero. Fratelli che poi l’Isola del Giglio ha fatalmente riunito. E mentre Russell era senza vita da qualche parte in quella grande nave adagiata sugli scogli, Kevin rimaneva a vegliarlo sull’isola per mesi in attesa di un segno dai soccorritori, di un cenno riguardo al ritrovamento. Mille giorni passarono prima che la nave restituisse il corpo di Russell, come se la Concordia annientata, adagiata su sé stessa, avesse voluto tenerlo con sé. Su quell’Isola Kevin ha conosciuto il dolore, ma ha posto le basi per amicizie molto solide che dieci anni dopo non muoiono.

 

Quelle con i gigliesi, con i soccorritori dell’epoca, con chi lo aiutò in quei giorni “anche solo con qualche piccola attenzione. Molti isolani mi davano un passaggio quando mi vedevano a piedi. Il tempo in questi dieci anni è volato – dice Kevin Rebello – Sembra ieri. A ogni anniversario rivivo quelle sensazioni, quei momenti che non auguro a nessuno”. Dieci anni e un legame profondo che resta: quello tra i familiari delle vittime. Che si incontrano, si parlano, si scambiano gli auguri per Natale. Un legame fatto di gesti ma non di tante parole: non serve raccontare, non serve dire, ognuno sa cosa l’altro prova.

Continua la lettura

Come dieci anni dopo si trasformano le emozioni, le sensazionii?
“Il dolore è irreparabile, non è possibile sanarlo. Non so se questa tragedia poteva essere evitata. Non sono esperto, non so neanche nuotare. Trentadue persone sono morte. Ho un pensiero fisso, che non mi ha lasciato in questi dieci anni. Cosa sarebbe successo se la nave si fosse adagiata più in là, a venti metri dalla riva e non sugli scogli. Rinrgrazio Dio per chi si è salvato. Ma trentadue vite sono tante. Anche una vita è tanto. Anche una sola persona ferita è tanto. Dico grazie a Dio perché la nave era vicino al Giglio. La gente del Giglio non ci ha pensato due volte ad aiutare tutti quei naufraghi, un gesto che apprezzo tantissimo. Anche per loro quelli del decennale saranno giorni di grande dolore”.

 

In questi dieci anni la giustizia ha fatto il suo corso. Ha trovato in questo una consolazione, una qualche mitigazione del dolore?
“Non sono esperto di giustizia e non so dire cosa è giusto o sbagliato. La corte ha preso la sua decisione e ha avuto mesi per ponderare ogni aspetto. Per questo oltre non dico. Questa è la mia personale opinione. Rispetto anche le opinioni degli altri, le opinioni di chi su quella nave ha perso dei familiari. Credo nella giustizia, ha preso una decisione, la condanna del capitano Schettino ovviamente è avvenuta dopo un lungo percorso”.

 

Una foto di Russell è posta nel feretro di Maria Grazia Trecarichi, la penultima vittima estratta dal relitto
“Con il marito di Maria Grazia, Elio Vincenzi, siamo stati molto vicini in quei tragici giorni. Mano mano che le vittime venivano recuperate, i parenti che erano arrivati al Giglio tornavano nelle località di provenienza. Noi rimanevano e siamo rimasti per mesi. E’ servito un anno per ritrovare i resti di Maria Grazia, quasi tre per quelli di mio fratello. Erano le ultime due persone che mancavano all’appello. Dopo quattro mesi sono andato via dall’isola ma sono rimasto sempre in contatto con le autorità e i soccorritori. Un calvario durato tre anni. Russell fu trovato dopo che la Concordia fu portata a Genova per lo smantellamento”.

 

Dopo tutto questo tempo è ancora vivo lo scambio con gli altri parenti delle vittime
“Con Elio Vincenzi ci sentiamo, ci scambiamo gli auguri durante le ricorrenze. Ho una pagina Facebook dedicata a Russell e attraverso quella continuo ad essere in contatto con parenti di diverse nazionalità. E’ un rapporto molto profondo ma con una caratteristica unica. Ci sentiamo ma non parliamo della Costa Concordia, non parliamo mai del nostro dolore o di quella notte di gennaio. E’ come se ci fosse un accordo silente, non ne parliamo perché ognuno di noi sa perfettamente cosa prova l’altro”.

 

Russell, quando è morto, aveva una moglie e un figlio. Cosa sa il ragazzo di suo padre?
“Rhys è nato nel 2008 e oggi ha tredici anni. Mia cognata e mio nipote vivevano a Mumbai con i miei genitori. Dopo la tragedia mia cognata ha lasciato la casa dei miei genitori e oggi vive con Rhys in un’altra città in India. Che era troppo piccolo quando è morto Russell per avere oggi ricordi del suo papà. Ci sentiamo e siamo in contatto, ma non abbiamo mai parlato di questo. Sta diventando grande e su internet leggerà la storia di suo padre o andrà a ricercarla”.

 

I suoi genitori hanno dovuto affrontare un dolore immenso. Come hanno vissuto questi dieci anni?
“Come genitori hanno subìto un colpo molto duro, nessun genitore vuole sopravvivere al proprio figlio. Continua ad essere oggi un grande dolore per loro questa perdita. Russell poi era un punto di riferimento per loro, ancora più di me. Ha vissuto per più tempo di me in India con loro e li ha sempre aiutati e supportati. Per questo, dopo la tragedia della Concordia, promisi loro che lo avrei ritrovato e lo avrei riportato da loro. Una promessa che sono riuscito a mantenere. E dieci anni dopo questo significa ancora molto per me”.

 

Che ricordi ha della gente del Giglio?
“Il 13 gennaio sarò di nuovo da loro per il decennale. Ho nel cuore l’immenso lavoro di tutti: gli abitanti, il sindaco Ortelli, la Protezione Civile. Il Giglio è un po’ come una mia seconda casa, resta nel mio cuore sempre anche dopo tutto questo tempo. Ho molte amicizie con loro e con i soccorritori di allora, con le forze di polizia, con i giornalisti. Ci salutiamo per Natale, ci scambiamo gli auguri. Nella tragedia e nel dolore sono nate delle amicizie molto forti che durano nel tempo”.

 

Dieci anni dopo che insegnamento ci lascia il gesto di Russell?
“Ci lascia l’estremo senso del dovere di un uomo che sognava di fare questo lavoro. Al momento dell’incidente, la prima cosa che Russell ha detto ai colleghi è stata ‘Io vado al mio posto’. Quando il personale svolge le esercitazioni di sicurezza, ognuno memorizza il ponte in cui deve andare per aiutare i passeggeri in caso di eventi come quello che poi ha portato al naufragio. La sua postazione era su uno dei ponti. E’ andato al suo posto e al suo amico ha detto ‘Ci vediamo dopo’. Ha svolto il suo lavoro con passione e responsabilità”.

 

Non un insegnamento da poco, visto che altri addetti della nave hanno lasciato i passeggeri in balìa di se stessi
“Molti sono scappati perché non potevano fare di più. Pensavano alla loro vita. Non tutti sono adatti per questo genere di situazioni. Io non posso giudicare nessuno. Mio fratello ha continuato ad aiutare più persone possibili. Fino al momento in cui la nave è caduta su un fianco, il momento più tragico, quello in cui molti passeggeri sono caduti all’interno dei corridoi. Russell ha fatto il suo dovere fino in fondo. Spesso il personale del sud est asiatico delle crociere viene visto come personale poco esperto, che viene in Italia per sopravvivere. In realtà sono professionisti che devono superare una serie di prove di sicurezza e di salvataggio per poter accedere a questo lavoro. Ricordo ancora l’ansia di Russell quando doveva affrontare questi esami. E’ una vita dura: partono dall’India con tante prove ardue da superare prima di ottenere il loro contratto”.

 

Lei Kevin sarà al Giglio per i giorni del decennale
“Sì, torno in luogo che nel bene e nel male ha cambiato la mia vita. Io non mangiavo pesce. Gli abitanti del Giglio mi hanno insegnato ad apprezzarne la bontà. Ho imparato a mangiare i frutti di mare. Sono persone eccezionali, di gran cuore, mi dispiace che abbiano dovuto vivere in prima persona questa sciagura. Prenderò un treno e farò questo viaggio verso l’isola. Il mio luogo di dolore e di consolazione”.

L’aiuto ai naufraghi

“Il ricordo di quella notte? Il grande cuore della gente del Giglio”

di Matteo Alfieri | 11 gen 2022

Il parroco Don Lorenzo: “La chiesa del paese diventò il luogo dell’ospitalità. Ma tutti gli isolani aprirono le loro case in uno slancio immenso di solidarietà”

L’ultima volta che vide quella nave era il 23 luglio del 2014. La perse di vista mentre era impegnato sul molo dopo averla benedetta in occasione dell’ultimo viaggio verso Genova

 

Don Lorenzo Pasquotti era arrivato tre mesi prima all’Isola del Giglio da quel fatidico 13 gennaio 2012 quando la Costa Concordia, dopo aver urtato le rocce delle Scole, affondò inclinandosi su un lato appoggiandosi a Punta Gabbianara. Un naufragio che costò la vita a 32 persone tra equipaggio e passeggeri. 

 

Quella mattina di luglio don Lorenzo, milanese di nascita, quella mattina uscì in mare per benedire la nave che da lì a poco sarebbe salpata dopo lunghi di lavori per farla tornare a galleggiare. Fu lui, quella maledetta notte, ad aprire le porte della chiesa di Giglio Porto ai naufraghi, il primo centro di accoglienza dopo il naufragio. Quella stessa chiesa che divenne il luogo della preghiera per le vittime ma anche il luogo di raccolta di tanti oggetti simbolici: dal crocifisso al tabernacolo che erano sulla nave, fino a un frammento delle Scole, a una cima e a un casco da operaio. 

Sono i ricordi della Concordia, che don Lorenzo ha raccolto in quella che lui stesso definisce la “Vetrina della Memoria”, insieme alle foto di molti dei morti tra cui la piccola Dayana, 5 anni, la più giovane delle vittime.

 

“Quella notte – ricorda don Lorenzo, oggi parroco sull’Amiata – è indimenticabile per una serie di motivi. La chiesa, oltre che essere la casa di Dio, fu il luogo dell’ospitalità”.

 

Di tutti, non solo degli uomini di chiesa come è lui. “La straordinarietà di quello che è successo sta nel fatto che tutto un popolo – aggiunge il parroco – si dette da fare per cercare di provvedere e sistemare quelle povere persone. I gigliesi, ognuno per quello che poteva, ha cercato di dare qualcosa. Chi una coperta, una casa. Anche solo una sigaretta. L’unità della famiglia gigliese è uscita fuori quella notte”.

 

Il dopo è stato anche più tremendo. “Quando i naufraghi, nel giro di qualche giorno se ne andarono – aggiunge – quelli che rimasero avevano volti tremendi. Erano i parenti di quelli che non si riuscirono a rintracciare. Quelli che poi sono morti schiacciati sotto quelle lamiere”.

Continua la lettura

E a lui si rivolgevano per fare domande. “Ogni giorno che passava la situazione si faceva più complicata. Le persone che si trovavano e le speranze che si assottigliavano sempre di più. Lo spavento si leggeva nei volti di tutti”.

 

Adesso don Lorenzo è sul Monte Amiata. “E’ stata una mia scelta. Volevo cambiare in un luogo che non fosse un’isola. Sono stato 9 anni e mezzo al Giglio ed è stata un’esperienza fondamentale, ma dura allo stesso momento. Il battesimo che ho avuto con il naufragio della Costa Concordia è stato incredibile”.

 

Per il decimo anniversario di quella tragedia tornerà sull’isola e incrocerà i volti quelle persone che lo aiutarono a dare una coperta ai naufraghi infreddoliti e una minestra calda che fu consumata sul sagrato. Gigliesi, dunque, che don Pasquotti ringrazia ancora una volta. Ma non per quello che hanno fatto, ma per quello che sono.

 

“L’Isola del Giglio vive due momenti diversi. C’è il Giglio in estate, dove esiste un’economia turistica e nella quale tutti sono concentrati sul lavoro. Poi c’è il Giglio in inverno e su quei pochi che rimangono e formano una famiglia allargata che vive insieme condividendo spazi e progetti. Ed è questo quello che mi è rimasto più nel cuore, l’identità e l’appartenenza di persone che non hanno esitato un attimo ad aprire le loro case in un momento di difficoltà. Sono stati premiati per quella notte, ma i gigliesi sono abituati ad affrontare le emergenze, le sofferenze e il dolore. Ci sono marittimi che hanno navigato per anni intorno al mondo e si sono stupiti dello stupore della gente. Il loro aiuto quella notte è venuto da dentro. Hanno fatto quello che dovevano fare in quel momento. Fa parte del loro dna. Ecco – chiude don Lorenzo – perché il gigliese è una persona particolare. Non amano molto la ribalta e queste cose. Quella tragedia non l’hanno cercata, ma l’hanno affrontata e in parte risolta. Per loro basta così. Senza tante medaglie da mettersi sul petto”.

Da 10 anni lotta per ricomporre i resti della moglie

“Io, faccia a faccia col dolore. E con le bugie del comandante”

di Cristina Rufini | 11 gen 2022

Intervista a Elio Vincenzi, marito di Maria Grazia Trecarichi, penultima vittima a essere recuperata sul relitto e padre di Stefania, una dei naufraghi.

Dieci anni trascorsi tra dolore e impegno per ricomporre la propria vita stravolta in una gelida notte di gennaio. Elio Vincenzi – marito di Maria Grazia Trecarichi, penultima vittima a essere recuperata dalla pancia della balena di acciaio trafitta a morte nel 2012, davanti all’Isola del Giglio, e padre di Stefania, superstite che all’epoca del naufragio non era ancora maggiorenne – oggi ha trovato un equilibrio, ma ha ancora qualche tassello del puzzle da collocare. O, se vogliamo, qualche sassolino dalle scarpe da togliersi. Senza rancore, ma con la determinazione di chi sa che prima o poi ce la farà a piazzare tutte le caselle al proprio posto. Non ultima il confronto con il comandante della Concordia, Francesco Schettino, per chiedergli il motivo di una bugia a suo dire raccontata dopo l’incontro segreto che i due ebbero a Meta di Sorrento, a settembre 2012.

Prima domanda scontata, come va?
“Oggi posso dire di aver raggiunto un equilibrio accettabile dopo anni trascorsi a cercare di capire, di superare il dolore e dall’altro lato stare a fianco di mia figlia Stefania, che fortunatamente si è salvata, ma che ha dovuto lavorare a lungo per uscire dallo choc di aver perso sua madre in quella crociera, perché lei le cedette la scialuppa per mettersi in salvo. Inutile dire che la mia vita è stata stravolta quella notte: ho perso mia moglie e mia figlia Stefania, fortunatamente salva, ha subito contraccolpi molto gravi. Oggi sono qui con i miei due compagni di vita, due cani randagi che ho incontrato proprio nei momenti più bui dopo il naufragio e ho un desiderio ancora fortissimo da esaudire: ricomporre i resti di mia moglie”.

 

Ci spieghi meglio…
“Come saprete il recupero del corpo di Maria Grazia è avvenuto in due momenti distanti tra loro, a ottobre 2013, un mese dopo il sollevamento del relitto e a novembre 2014, quando la nave si trovava già a Genova. Non entro nel dettaglio, ma così è stato”.

Continua la lettura

Che cosa la tormenta ancora?
“Vede, dopo il primo recupero, quando ci è stato possibile abbiamo organizzato il funerale, quasi due anni dopo il naufragio e pensavamo che Maria Grazia potesse così riposare in pace. Poi la scoperta l’anno successivo che alcuni resti erano rimasti intrappolati nella nave, può capire come ci siamo sentiti io e mia figlia”.

 

Che cosa è accaduto in seguito?
“Volevamo far riposare i poveri resti tutti insieme, ma per la legge italiana, ci fu spiegato allora, non è possibile, quindi sono ancora separati. Ci siamo abituati ormai, ma il mio desiderio un giorno è poterli ricomporre e far finalmente riposare in pace mia moglie”.

 

C’è però un altro tassello da mettere al suo posto.
“Eh sì. Per questo dovrò attendere ancora un po’, mi sa. Ma so che prima o poi chiederò conto a Schettino di un comportamento e di una frase pronunciate sull’incontro che in segreto avemmo a settembre 2012”.

 

Perché vi incontraste e in segreto?
“Non riuscivo a darmi pace del fatto che il corpo di mia moglie non fosse ancora stato recuperato. Quello dell’amica che era con lei, Luisa Virzì fu trovato dopo alcuni giorni. Mia moglie invece no, continuava a essere intrappolata. Avevo una descrizione sommaria di dove si trovasse al momento dell’inclinazione definitiva della Concordia, quando è accaduto lei era al telefono con un amico comune cui aveva raccontato dove si trovava, sul ponte 3, e che era in compagnia di Luisa. Peraltro mia moglie era una nuotatrice esperta, mi sembrava impossibile che non ce l’avesse fatta a mettersi in salvo. Ma tornando a Schettino decisi di contattarlo perché essendo lui il comandante della Concordia, supponevo la conoscesse bene, così gli chiesi il favore di potergli parlare, di mostrargli gli schemi della nave per avere suggerimenti di dove cercare. Senza alcun clamore però e a patto che il confronto rimanesse segreto, perché non volevo strumentalizzazioni mediatiche. Accettò”.

 

Che cosa l’ha turbata poi?
“Durante l’incontro, avvenuto in un’abitazione a Meta di Sorrento nulla. Lui non era solo, ma a me poco importava. Ero lì per avere informazioni utili. Me le dette e da allora non ci siamo più sentiti. Qualche anno dopo, nel suo libro scritto con una giornalista, lui ha raccontato questo episodio, e già questo mi ha dato fastidio, ma quello che più non gli perdono è di aver condito il racconto con un particolare inesistente, cioè che io mi sarei presentato a lui con un vassoio di cannoli siciliani. Ora vede, non è tanto per il racconto in sé, non ha detto niente di sconvolgente, ma non è la verità. Figuratevi se io in cerca dei resti di mia moglie mi sarei mai presentato da colui che già all’epoca era ritenuto se non l’unico, sicuramente il principale responsabile della morte di Maria Grazia con un regalo. Ero lì per avere informazioni e basta. Quindi voglio sapere perché è dovuto ricorrere a una simile bugia”.

 

Torniamo a oggi, che cosa fa?
“Vivo a Siracusa, purtroppo lontano da mia figlia che si è stabilizzata con il fidanzato a Bari dove continua a studiare Lingue. Con me ci sono le mie due bastardine: Asia e Bianchina, diventate inseparabili compagne di vita. Asia, un meticcio di Labrador l’ho incontrata nel momento più difficile, ad aprile 2012 qualche mese dopo il naufragio, è stata un sostegno importante, mentre Bianchina un randagio di Maremmano, un po’ più tardi. Lei era più grande e spaventatissima perché era stata picchiata. Ci sono voluti anni perché tornasse a fidarsi dell’uomo. Entrambe mi hanno aiutato molto a uscire dal tunnel in cui ero finito”.

 

Tornerà al Giglio?
“Vorrei. Avevo messo in programma di farlo proprio per il decimo anniversario, ma non potrò, anche perché sto ancora lottando con i postumi di un problema al ginocchio dopo una caduta. Ma so che prima o poi lo farò. Magari per immergermi di nuovo nel punto dove è avvenuto l’impatto e dove c’è una targa in memoria delle vittime. Sa, io adoro il mare”.

“Nel mio albergo ho ospitato il dramma e la speranza”

di Matteo Alfieri | 11 gen 2022

Paolo Fanciulli, il titolare dell’hotel Bahams al Giglio: “Quella notte eravamo chiusi, ma accogliemmo decine e decine di naufraghi. Come si può dimenticare?”

Paolo Fanciulli è il titolare dell’hotel Bahamas. Struttura storica di Giglio Porto. Dalle sue finestre si vede punta Gabbianara. Dove per oltre due anni rimase chinata su un fianco la Costa Concordia, la nave da crociera portata a morire al Giglio dall’inchino di Francesco Schettino.

 

“Come si fa a dimenticare? Si sta avvicinando il decimo anniversario della tragedia e il mio telefono ha iniziato a bollire – prosegue sorridendo – Ogni anno ricevo decine di telefonate di naufraghi”.

Persone che, infreddolite e bagnate, andarono a bussare alla sua porta nonostante l’albergo fosse chiuso. “Feci quello che andava fatto – sentenzia – detti riparo a chi non aveva un tetto. E le coperte perché era molto freddo. Fortunatamente molte persone, soprattutto quelle anziane, riuscirono a trovare un tetto sopra la testa”.

 

E il Bahamas è rimasto nel cuore di coloro che trovarono un sorriso oltre che una minestra calda in un momento terribile della loro vita. “Il 13 gennaio saremo chiusi per manutenzioni, ma io sarò sul molo come sempre. Ho appuntamento con tante persone che quest’anno verranno a trovarci – prosegue Fanciulli – E’ vero, il tempo aiuta a dimenticare, ma non tutto. Dieci anni sono tanti ma sembra ieri e i morti vanno sempre tenuti al centro dei nostri pensieri”.

Continua la lettura

Fanciulli ha anche un rammarico: “Siamo stati importanti, noi gigliesi. Ma non abbiamo fatto niente rispetto a quello che c’era da fare. Ho partecipato ma ci sono persone che sono addirittura salite sulla nave rischiando di morire. Ho un rammarico solo: avrei voluto dare una mano a tutti coloro che facevano la spola con le barche dal porto invece rimasi in albergo per dare una mano a quelli che arrivavano. Perché non bisogna dimenticare che le scialuppe furono abbandonate dall’equipaggio e che i gigliesi portarono a riva centinaia di persone“.

 

Strascichi emozionali a quintali, dunque. Ma Fanciulli non dimentica anche altro. Ovvero l’Isola che, spente le luci della ribalta, è tornata quella di prima: “Il cuore noi ce l’abbiamo messo e tutti rifarebbero quello che fecero quella notte – dice – ma i problemi qui sono rimasti. Perché l’estate passa e poi arriva l’inverno: ovvero senza il medico, senza le scuole, con uno spopolamento galoppante. Non è tutto oro quello che luccica”.

 

Chiude su Schettino, il comandante che la mattina seguente si presentò al Bahamas per riposarsi un po’. “Preferisco non commentare. Adesso è in carcere e sta scontando la sua pena. A me fece un’impressione doppia: prima di una persona che aveva combinato un disastro e dunque anche pena, ma poi anche la scaltrezza che il giorno dopo aveva quando parlava con le persone. Un carattere contrastante. Arrivò la mattina quando i naufraghi se n’erano andati e me lo ricordo vagare per il porto, nascosto tra la folla, come un automa. Solo l’equipaggio lo conosceva”.

 

Paolo Fanciulli il 13 sarà sul molo con la torcia in mano. “Ci mancherebbe. Come tutti i gigliesi”.

“Schiacciati dal peso di quel transatlantico, ci siamo rialzati con orgoglio”

di Matteo Alfieri | 11 gen 2022

Il sindaco del Giglio Giorgio Ortelli: “L’unico cruccio che porterò per sempre con me è quello di non essere riuscito a salvare la vita a tutti”

Dieci anni. Che il sindaco del Giglio, Sergio Ortelli, ha vissuto in un frullatore di emozioni. Il 13 gennaio del 2012 Ortelli era in casa quando ricevette una telefonata. “Vieni al Porto, è una tragedia”.

 

All’altro capo dell’apparecchio c’erano i vigili urbani. La nave da crociera Costa Concordia era incagliata a pochi metri dalla sua isola e stava affondando. “Quella scena sarà sempre nella mia mente. In macchina stavo arrivando al porto e dopo le prime curve vidi le luci della nave e le urla dei passeggeri che stavano sbarcando. Fu un colpo durissimo”.

Il sindaco dell’isola ricorda tutto nei minimi particolari, di quella notte. Dall’operatività dei gigliesi, alle forze dell’ordine, al caos incontrollato, ai rumori che provenivano da quella nave con oltre 4mila persone a bordo che stava affondando. Dieci anni che Ortelli ha imboccato di corsa e che adesso guarda, dopo aver riportato l’isola alla normalità esteriore, con una certa soddisfazione. Ma anche con commozione e tristezza.

 

Era lunga la strada da percorrere quando il relitto si incagliò alla Gabbianara. Un cammino fatto di inquinamento, della paura di non farcela. Di essere al centro del mondo come il posto dove si era consumata la più grande vergogna della marineria italiane dunque di un paese intero. Ma il Giglio ce l’ha fatta. E anche il suo sindaco

 

“L’emozione di un evento così drammatico non può essere dimenticata. Mai. Un’isola piccola come la nostra che ha dovuto far fronte a una tragedia del genere è qualcosa di inimmaginabile. E invece siamo riusciti a governarlo in tutte le sue sfaccettature e questo non deve che riempirci di orgoglio”.

Continua la lettura

I due anni e mezzo sono stati comunque molto duri. “L’incertezza era la cosa che ogni giorno ci logorava – aggiunge Ortelli – C’era chi diceva che quella nave sarebbe stata lì per sempre. Che ci sarebbero voluti anni per demolirla, pezzo dopo pezzo, per portare via 112mila tonnellate di ferro. L’inquinamento che avrebbe irrimediabilmente ucciso la nostra economia. E l’angoscia di pensare che sotto quelle lamiere c’erano ancora persone che non erano state recuperate, non poteva farci stare tranquilli”.

 

Poi scattò una scintilla. “La serie di dubbi aveva investito il paese. Si parlava in quel momento dell’Italia come di un paese allo sbando. Che aveva messo in mano un transatlantico con 4mila persone a bordo, ad un incosciente che era andato a sbattere con gli scogli si un’isola. La riscossa partì proprio dal Giglio”.

 

Ortelli ricorda bene i momenti dei primi sopralluoghi. “Imprese, studiosi, scienziati. Tutti insieme per cercare di togliere quella nave. Che, forse, per la divina provvidenza si era fermata sull’unico punto dove poteva incagliarsi, senza affondare e dunque evitando una tragedia di dimensioni apocalittiche. Non era scritto da nessuna parte che ce l’avremmo fatta. E invece è stato inventato un metodo nuovo, grazie alla tecnologia italiana, mettendo i cassoni di galleggiamento e riuscendo a rimettere in linea di galleggiamento un relitto. Una cosa fantastica, fatta dall’Italia. Il sistema Paese che ha tirato su la testa e ha dimostrato che se c’è da fare qualcosa di importante, la tecnologia italiana c’è, eccome”.

 

Una tragedia dunque. Che ha lasciato tanto. “L’unico mio cruccio personale – prosegue il sindaco del Giglio -è quello di non aver salvato tutti. Il sistema ha funzionato. Da punto di vista esteriore l’Isola è tornata quella di prima. Con il profilo della Gabbianara, con la sia economia, i suoi tramonti e i suoi silenzi invernali. Ma quelle scene non potranno mai essere dimenticate”. In mezzo ad una tragedia del genere non si può non ricordare Francesco Schettino, il comandante della Concordia. Il responsabile di tutto quello che è successo. “Quando mi chiedono di Schettino a me viene sempre in mente Mario Pellegrini. Il mio vicesindaco che quella notte senza esitazione, mi chiese di salire sulla nave per fare il punto della situazione. Gli dissì di sì mettendo a repentaglio la sua vita. Salì dalla biscaggina che Schettino si rifiutò di prendere e rimase sulla nave salvando decine di persone. Sì, lui ha rischiato la sua vita. Altri sono scesi dalla nave appena hanno avuto l’occasione”.

 

L’ultimo pensiero va alle aziende e a Costa Crociere. “Con la compagnia di navigazione abbiamo avuto anche tanti contrasti, soprattutto per i risarcimenti. Devo dire che si sono fatti carico delle spese sostenute e anche a loro deve andare il nostro ringraziamento per quello che è poi è successo dopo. Quello che mi piace sottolineare è il sistema che si è creato e che ha fatto rinascere l’Italia, in modo coeso e sistematico”. Poi chiude: “Vorrei anche ringraziare tutte quelle persone che in questi dieci anni, e ci tengo molto, hanno aiutato l’isola del Giglio a ricostruirsi un’identità Non era facile. Mi riferisco ai giornalisti e a tutte quelle persone che hanno raccontato quello che era successo con professionalità e rispetto. A loro sarò sempre grato anche a nome di tutti i miei concittadini”.

LA REGIONE TOSCANA IN CAMPO, LE NUOVE INIZIATIVE

L’Armadio della Memoria è aperto

di Luigi Caroppo | 11 gen 2022

Documenti e testimonianze raccolte per far conoscere a tutti la tragedia. L’apppello del presidente del Consiglio regionale Mazzeo: “Tutti insieme per non dimenticare mai”.

La memoria da alimentare e tramandare è doverosa per non dimenticare mai. La Regione Toscana ricorda e fa ricordare. Grazie alla raccolta di documenti e testimonianze nell’Armadio della Memoria. Anche la tragedia della Costa Concordia c’è là dentro. Il presidente del Consiglio regionale toscano Antonio Mazzeo è l’ambasciatore della memoria storica che si rinnova.

Presidente Mazzeo, dieci anni dalla tragedia della Costa Concordia. La Regione Toscana non dimentica. I morti e i feriti, l’isola del Giglio violata, lo choc.
“Tutti ancora abbiamo negli occhi la ‘pancia’ della Concordia poggiata sugli scogli dell’isola. Le immagini fecero letteralmente il giro del mondo. L’Isola del Giglio e quel tratto meraviglioso di costa, di fronte all’Argentario, si risvegliarono nel dramma. Scialuppe che facevano la spola con Giglio Porto per raccogliere le persone che scendevano nel buio dalla scaletta sullo scafo. La paura, il gelo e soprattutto la morte di 32 persone, lavoratori e ospiti della crociera. Un episodio che ha fatto alzare l’asticella dell’attenzione della sicurezza sulle navi di tutte le flotte internazionali. Per mesi, quel relitto, entrò a far parte del paesaggio della nostra costa Toscana. Oggi e per i prossimi anni non dobbiamo dimenticare”.

 

L’Armadio della Memoria, istituito dal Consiglio regionale nell’aprile del 2017, è il nome scelto per identificare l’archivio di tutti i materiali disponibili sulle tragedie del Moby, della Concordia e di Viareggio in modo che sia mantenuto perennemente acceso il ricordo delle tre stragi e si possa, studiando i documenti, prevenirne di nuove. Una fonte per non dimenticare e per evitare che si ripetano casi del genere.
“La verità storica dei fatti e la coltivazione della memoria sono alla base di una democrazia e della nostra Costituzione. Come per la strage del Moby Prince di Livorno del 1991, così per la drammatica esplosione alla stazione di Viareggio del 2009, anche il naufragio della Costa Concordia al Giglio, del 2012, ha spinto il Consiglio regionale, assieme alla Giunta regionale, a istituire l’Armadio della Memoria, all’interno della biblioteca Pietro Leopoldo della nostra assemblea legislativa. Un archivio presente dal 2017 dove sono custoditi i ricordi e conservati i materiali di alcuni fra gli eventi più drammatici che hanno colpito la nostra regione. Dobbiamo conservare, ricordare e continuare a parlare di quei fatti per evitare di ripetere errori fatali. Stiamo parlando di centinaia di vittime, di famiglie distrutte, di dolore per centinaia di persone. Ma si tratta di episodi dove qualcuno ha sbagliato, professionisti del trasporto marittimo e ferroviario che hanno compiuto errori fatali. Episodi che restano come monito per settori strategici dell’industria, non solo Toscana, ma nazionale”.

Continua la lettura

La memoria lenisce in parte anche il senso di giustizia laddove non è manifesto. La Concordia è sembrata una tragedia assurda. Che ne pensa?
“Penso che 32 vittime siano un drammatico tributo, esagerato, ingiustificabile, per una condotta che è stata condannata dalla giustizia. Credo che ogni comandante di imbarcazione, soprattutto quelle che trasportano passeggeri, abbia nella mente le immagini di quella notte di dieci anni fa e già questo serva come monito. Penso che, per come seguii quella vicenda nelle ore immediatamente successive alle notizie che arrivavano dal quel tratto di Mar Tirreno, le conseguenze potevano anche essere più tragiche. La nave infatti, a causa, anzi direi grazie al vento di quella sera, ormai alla deriva, fu spinta sugli scogli e si poggiò su un fianco evitando di affondare. Non oso pensare cosa sarebbe potuto accadere”.

 

Che documenti raccoglie l’Armadio sulla Concordia?
“L’Armadio per la Concordia, a mio avviso, è innanzitutto un tributo alle vittime, alle loro famiglie che piangono ancora oggi l’assenza dei loro cari, sia quelli partiti per una vacanza che doveva essere serena, sia le vittime sul lavoro. Ma la raccolta dei documenti deve essere un tributo anche alle decine e decine di operatori delle diverse strutture, molti dei quali volontari, che, coordinando efficacemente la loro azione, sono stati impegnati nella difficile e rischiosa opera di soccorso dei naufraghi, di recupero delle vittime e di messa in sicurezza del relitto. L’Armadio, come per Livorno e Viareggio, cerca di raccogliere documenti, foto, video, archiviandoli con tutte le informazioni possibili. Rappresenta una memoria, sempre aggiornabile, su fatti storici e ferite ancora aperte per tutta la Toscana”.

 

Altri potranno essere raccolti?
“Il Comune dell’Isola del Giglio ha ricevuto un finanziamento del Consiglio Regionale per predisporre e trattare il materiale al fine di costituire l’Armadio della memoria del naufragio della Costa Concordia, la stessa somma (diecimila euro) è stata destinata ad associazioni dei familiari per altri eventi disastrosi. Chi vuole può contribuire mettendo a disposizione foto, audio, video, altra documentazione. Il lavoro è in continua evoluzione. Vorremmo che l’Armadio fosse sempre più luogo di raccolta informazioni e documentazione. Colgo l’occasione per invitare, chi volesse e potesse, ad arricchirlo di ulteriore materiale. Penso a qualche isolano che ha foto inedite, alle associazioni del Monte Argentario e dell’isola intervenute. Sono stati anche realizzati interessanti documentari da produzioni internazionali”.

 

Il mare, l’arcipelago, le coste: il nostro tesoro ambientale. Quella tragedia ci ha rafforzato il senso di protezione?
“Quelle immagini e il relitto che per mesi è rimasto di fronte al Giglio, visibile anche dai satelliti, hanno ancora di più aperto gli occhi su quanto prezioso e delicato sia il patrimonio ambientale toscano. Nel cuore dell’Arcipelago Toscano, paradiso per migliaia di specie, un incidente così ha modificato le procedure di sicurezza a bordo delle grandi navi, sia per chi le comanda, sia per i passeggeri. Dall’Argentario all’Alta Versilia, passando da tutte le isole che abbiamo la fortuna di avere di fronte al nostro mare, dall’Elba alla Gorgona, la Maremma, le calette livornese, le spiagge di San Rossore e Marina di Vecchiano: una ricchezza infinita per l’ambiente e un’attrazione turistica da difendere il cui valore è inestimabile. Una costa che rappresenta un marchio della Toscana in tutto il mondo”.

 

Che ricordi ha di quella sera e dei giorni successivi?
“Ero al televisore e iniziai a seguire gli aggiornamenti, sempre più drammatici, per tutta la notte. Avevo 35 anni ed ero a casa mia. Furono ore di apprensione, come per tutti gli italiani e i toscani. Non mi sembrava vero, ma era tutto invece così tragico. Ho ancora nella memoria immagini scioccanti, ricordiamo tutti gli audio delle comunicazioni radio, le immagini dall’elicottero in notturna, i video subacquei della nave mezza sommersa, le operazioni di recupero. Il mondo in quei giorni accese i riflettori sul Giglio. E così emerse anche lo spirito di accoglienza degli abitanti dell’isola, l’impegno dei soccorritori, delle forze militari e non. A tutti coloro che sono stati impegnati in quelle settimana va il grazie, ancora sentito, mio, in qualità di rappresentante dell’assemblea del Consiglio Regionale. Grazie per la solidarietà dimostrata e per l’aiuto concreto alle famiglie delle vittime e ai naufraghi in quelle tremende ore. Ancora una volta la Toscana si è dimostrata terra sensibile e pronta ad aiutare il prossimo. Anche questo è un ricordo del dramma della Concordia”.