La Toscana e il ciclo dei rifiuti, tra business, ambiente e opportunità

La raccolta differenziata migliora: dalla selezione parte il ciclo virtuoso

Obiettivo 65%, ma doveva essere raggiunto già nel 2012

Organico, plastica, carta e cartoni, vetro e lattine. La raccolta differenziata è entrata nelle abitudini delle famiglie toscane. Molti ci credono anche se resiste una sacca di indifferenza. Eppure il credo “ognuno può dare il suo contributo” ben si lega alla selezione degli scarti urbani. Davvero l’impegno dei cittadini è immediatamente visibile nel monte rifiuti dei Comuni. E spesso anche nel conto Tari che arriva a casa.

 

A fine 2021 sono stati presentati i dati sulla raccolta differenziata in Toscana. Con qualche miglioramento che regala ottimismo per una possibile crescita diffusa verso il tetto minimo del 65 % che doveva essere raggiunto già, nel lontano 2012.

 

Sale ancora di quasi due punti percentuali il dato 2020 della raccolta differenziata in Toscana, passando dal 60,22 per cento del 2019 al 62,12 per cento. La percentuale aumenta con un trend confrontabile al periodo precedente al 2019 e in progressivo avvicinamento all’obiettivo di raccolta differenziata del 65 per cento. Cresce anche il numero dei Comuni virtuosi, e questo nonostante gli effetti della pandemia e delle relative restrizioni, che hanno determinato segni negativi nella produzione totale e nel dato pro capite dei rifiuti urbani, in particolare nella componente non differenziata.

Sono gli elementi principali che emergono dai dati relativi alla certificazione delle raccolte differenziate riferiti al 2020, elaborati dall’Agenzia Regionale Recupero Risorse.

 

Se nel 2019 la produzione di rifiuti urbani, in Toscana si era attestata a 898.625 tonnellate, nel 2020 ha raggiunto 809.797 tonnellate. Tradotto in quantitativi generati da ciascun cittadino/a significa circa 617 Kg nel 2019 e 587 Kg nel 2020, 30 Kg in meno rispetto all’anno precedente e posizionando la nostra regione, dopo molti anni, sotto la soglia dei 600 Kg abitante anno. La media nazionale per il 2020, invece, si è attestata a 488 Kg abitante, quindi ogni cittadino toscano ha prodotto, nell’anno di inizio della pandemia, 99 kg di rifiuti urbani in più rispetto alla media nazionale.

 

Per quanto riguarda i dati relativi alle singole province toscane, la situazione si presenta variegata: Massa Carrara, Lucca, Livorno e Grosseto rimangono al di sopra dei 600 kg abitante annuo mentre Pistoia fa registrare il dato più basso, 544 kg abitante anno, seguita da Pisa, 552, kg abitante anno, e Firenze, 558 kg abitante anno. Il capoluogo toscano, destinazione turistica per eccellenza, passa da una produzione pro capite pari a 604, nel 2019, a 558 kg abitante anno nel 2020, con una differenza di 46 kg anno per cittadino.

Secondo la ricerca di ref presentata a Firenze in un recente convegno organizzato da Confindustria Toscana e da Confservizi Cispel Toscana la gestione attuale dei rifiuti urbani fa ancora troppo affidamento sullo smaltimento in discarica, peraltro in crescita: ciò ha consentito di offrire sbocchi e calmierare i costi, ma allontanato gli obiettivi al 2035. Secondo Ref, «per raggiungere gli obiettivi di riciclaggio e smaltimento occorrerà dotarsi di nuova impiantistica di chiusura del ciclo e sostenere gli impianti per il trattamento Forsu» (parte organica degli scarti). In generale «la gestione dei rifiuti speciali è in deficit»; anche i rifiuti prodotti dalle attività economiche potrebbero essere gestiti in modo più efficiente in regione. Nel complesso, tra urbani e speciali, il fabbisogno di impianti per la chiusura del ciclo è di almeno 600 mila tonnellate.

 

Gli obiettivi. Occorre assicurare l’autosufficienza regionale nel trattamento e smaltimento del Rur (rifiuto urbano residuo); centrare i target di discarica e conseguire benefici economici e ambientali; rispetto all’export fuori regione lo «Scenario di autosufficienza» consente di abbattere di 2/3 le emissioni di CO2 rispetto al 2019 e ridurre i costi di trattamento e smaltimento con risparmi per 36 milioni di euro all’anno (tra minori costi dei trattamento e smaltimento e emissioni evitate).

 

Gli investimenti negli impianti generano ricadute economiche ed occupazionali: 1. 830 milioni di investimenti attivati, 2. 1.700 milioni di Pil creato, 2.600 occupati all’anno, tra diretti e indiretti, nel periodo 2023-2030.

L’autosufficienza degli impianti offre scenari particolarmente positivi. Perché l’autosufficienza nella gestione dei rifiuti urbani e dei principali flussi critici di rifiuti speciali è «un fattore di sicurezza di sistema». La Toscana «non deve dipendere da impianti collocati in altre regioni o in altri Paesi, europei e non europei, e non può dipendere dalle proprie discariche se non nei limiti di legge (10% dei rifiuti urbani)». La garanzia di uno sbocco per trattamenti e smaltimenti è «un elemento nevralgico della competitività dei territori». Le “emergenze rifiuti” generano incertezza e costi. L’autosufficienza è «un presidio di legalità e trasparenza: la mancanza di impianti e lunghe catene di intermediazione sono terreno fertile per le organizzazioni criminali» conclude l’analisi Ref.

Così si chiude il cerchio dell’economia circolare

Dagli scarti le sostanze per la mobilità sostenibile

L’Enea ha messo a punto un brevetto per la valorizzazione dei rifiuti

Le fabbriche di idrogeno o di metanolo. La Regione Toscana si ispira a questo obiettivo per chiudere il cerchio dell’economia circolare. Limitare al massimo gli scarti non riutilizzabili, elevare alla massima potenza il riciclo, produrre dal ciclo di trasformazione chimica sostanze “spendibili” per alimentare mezzi e strumenti.

 

Per capire la rivoluzione l’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ci offre una lettura dettagliata su come produrre combustibili gassosi come idrogeno e metano dai rifiuti solidi urbani, plastiche non riciclabili e biomasse, senza emissioni inquinanti e con l’utilizzo di energia rinnovabile. Il nuovo processo è stato sviluppato e brevettato dai ricercatori Enea dei Dipartimenti Tecnologie energetiche e fonti rinnovabili e fusione e tecnologie per la Sicurezza nucleare.

 

«Il nostro obiettivo è quello di produrre combustibili puliti come l’idrogeno o miscele idrogeno/metano partendo da materiali a base carboniosa di basso valore, attraverso un processo che utilizza energia rinnovabile e che non emette sostanze inquinanti nell’ambiente. Si tratta quindi di una via puramente termochimica per la produzione di idrogeno e al tempo stesso per la valorizzazione energetica dei rifiuti», spiega il ricercatore Enea Alberto Giaconia, inventore del brevetto insieme a Silvano Tosti, Giampaolo Caputo e Alfonso Pozio.

Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. Centro ricerche Brasimone

A differenza dei comuni processi di gassificazione e combustione, questo trattamento si basa su un’operazione di “idrogassificazione” che consiste nel trattare il rifiuto grezzo, anche umido, con idrogeno. «Di fatto, l’idrogassificazione permette di convertire il rifiuto in metano utilizzando idrogeno. Il metano viene poi trattato in un processo sostenuto con calore proveniente da fonti rinnovabili», prosegue Giaconia. I prodotti ottenuti sono la CO2 in forma concentrata che, a differenza di quella ottenuta dai normali processi combustione, è facilmente separabile per essere eventualmente trasportata e riutilizzata, e l’idrogeno, parte del quale andrà ad alimentare (come reagente) il processo di idrogassificazione.

 

L’idrogeno prodotto in eccesso rappresenterà il combustibile “pulito” generato dal processo, che potrebbe essere immesso in un mercato emergente fortemente promosso dal piano di resilienza, come ad esempio il settore della mobilità sostenibile e dell’industria, spiegano i ricercatori Enea.

 

«Possiamo prevedere che il processo sia vantaggioso anche a livello economico perché utilizziamo un rifiuto per ottenere un combustibile commerciale». Basti pensare a quanto un Comune paghi per esportare rifiuti che invece potrebbero essere valorizzati o per portarli in discarica. «La trasformazione inoltre prevede l’immagazzinamento di energia rinnovabile con un sistema relativamente semplice e con elevata efficienza», conclude Giaconia.

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