Il Sistema Siena

Le due realtà parallele del Monte dei Paschi Prestiti, derivati e aumenti per tappare la falla

Tra il 2007 e il 2012 politica e finanza osannano il presidente Mussari, mentre il management cerca di trovare 17 miliardi per pagare Antonveneta

Da quella notte dell’8 novembre 2007 il Monte dei Paschi entra in modalità “bipolare”. C’è la realtà dei fatti, mai in vetrina, a cominciare dalla prima bocciatura dei mercati finanziari, con un miliardo di euro di capitalizzazione del titolo bruciato in una seduta di Borsa. E c’è la narrazione di una banca che, dopo Antonveneta, è diventata la terza in Italia. Con l’esaltazione di Giuseppe Mussari come banchiere perno del sistema, eletto per acclamazione a giugno 2010 presidente dell’Abi. Assieme agli inni del “modello Siena”, piccola città diventata capitale finanziaria.

 

Valga per tutti il titolo del Corriere della Sera (evidenziato nel libro di Pietraserena, “Mps: cronaca di un disastro annunciato”) che recitava: «Mps, blitz su Antonveneta. Via alla terza banca italiana. Il Santander vende per 9 miliardi. E Siena batte l’offerta di Bnp Paribas. Aumento di capitale da 4,5 miliardi per l’acquisizione. La Fondazione non diluirà la quota». Un riassunto didascalico di tutti gli errori che hanno contrassegnato quell’affare sciagurato. Dal prezzo che balzò a 17 miliardi per i soldi da ridare a Abn Amro alla ostinazione della Fondazione Mps di non scendere sotto la quota totem del 50,1 percento della banca.

Come a bordo del Titanic dopo l’urto con l’iceberg, anche a Siena si continuava a ballare. Il 21 gennaio 2008 il cda della banca deliberò di finanziare l’acquisizione di Antonveneta mediante «un aumento di capitale in opzione agli azionisti per un controvalore di 5 miliardi di euro, l’emissione di nuove azioni per un miliardo, al servizio di strumenti innovativi di capitale, l’emissione di obbligazioni subordinate per 2 miliardi, un finanziamento ponte per 1,95 miliardi da ripagare mediante la cessione di asset non strategici». Nel menu c’è tutto, dal prestito Fresh sul quale Banca d’Italia accese subito i riflettori, alla vendita di asset non strategici che comprendono il tentativo infruttuoso di cedere Banca Toscana.

 

Eppure Banca d’Italia il 17 marzo 2008, a firma del governatore Mario Draghi, autorizza l’affare: «Non risulta in contrasto con il principio della sana e prudente gestione». Il prezzo ufficiale resta ancora 9 miliardi. All’assemblea del dicembre 2008 sul primo aumento di capitale fino a 5 miliardi, il presidente Mussari si dice «sicuro che Antonveneta non abbia in pancia cose strane. Abbiamo fatto una due diligence, dalla quale è emerso che Antoveneta ha un attivo composto principalmente da crediti… e non possiede prodotti finanziari particolarmente sofisticati». La modalità bipolare, stile “Dottor Jekyll e Mister Hide”, continua per altri anni.

Il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi durante la lectio magistralis tenuta presso la Johns Hopkins University di Bologna (Mario Carlini / Iguana Press)

La Mens Sana Montepaschi inanella sette scudetti consecutivi nel basket, il Siena sponsorizzato Montepaschi gioca stabilmente in serie A. Nel 2011 viene lanciata anche una griffe di moda, con vino, abbigliamento e accessori vari con il brand 1472. Dietro le quinte il management della banca, guidato dal dg Antonio Vigni, dopo aver ristrutturato a dicembre 2008 il derivato Santorini con Deutsche Bank, nel 2009 vende i titoli Alexandria a Nomura, che in cambio spalma le perdite su un arco di trent’anni. È il famoso affare con Sadeq Sayeed, che registra Mussari mentre gli chiede «avete capito cosa state firmando, vero?». E anche stavolta lo sventurato rispose. Poi la banca prenota 1,9 miliardi di Tremonti Bond, promettendo il rimborso nel 2010. Bankitalia si sveglia e intensifica la vigilanza sulla liquidità del Monte.

 

Chiedendo nel 2010, dopo un’ispezione, un aumento di capitale. Nel 2011 viene lanciata la ricapitalizzazione da 2 miliardi e la Fondazione la sottoscrive per la sua quota. Sul Monte “bipolare” si abbatte anche la tempesta finanziaria, dopo il crac Lehman Brothers. Lo spread vola a 580, il Monte fa incetta di titoli di Stato usando tutta la sua residua liquidità. Ma la falla non viene tappata e il 12 gennaio 2012 si chiude l’esperienza di Antonio Vigni alla direzione generale, iniziata nel 2006. Avrà 4 milioni di euro di buonuscita, al suo posto il Monte si affida a Fabrizio Viola.

Le prime fratture nel Sistema Siena

Le accuse di Mancini alla fine del mandato da presidente: «Tutti volevano mantenere il 50,1 percento della banca, siamo stati ingannati»

Mentre la Banca, e soprattutto il presidente Giuseppe Mussari, vengono osannati per il grande colpo di Antonveneta, a Palazzo Sansedoni, sede della Fondazione Mps, cominciano le epurazioni e si registrano le prime fratture nel sistema Siena. Come insegna Leonard Cohen «c’è una crepa in ogni cosa, è così che entra la luce», bisognerà aspettare la fine dei mandati sia di Mussari che del presidente della Fondazione Gabriello Mancini e del sindaco Maurizio Cenni, e poi la clamorosa sfiducia in consiglio comunale contro il sindaco Franco Ceccuzzi, per squarciare il velo di silenzi e scoprire la parte oscura dei conti del Monte, sia Banca che Fondazione. «La Fondazione Mps? Un ente in libertà vigilata. Siamo stati trattati come una municipalizzata dagli enti nominanti, non posso accettare di venire additato come unico responsabile del depauperamento della banca e del territorio». Sono solo alcune delle frasi perentorie pronunciate da Gabriello Mancini il 9 agosto del 2013, il giorno della fine del suo mandato, dopo 12 anni da vice e da presidente della Fondazione Mps.

Franco Ceccuzzi, ex sindaco di Siena

La “testa di Mancini” è l’ultima a cadere; prima era toccato a quella di Ceccuzzi, sfiduciato dai consiglieri dell’ex Margherita a maggio 2012, dopo solo un anno da sindaco per le proposte di nomine nel cda Mps; e poi a quella di Mussari, sostituito al Monte da Alessandro Profumo e all’Abi costretto alle dimissioni per le rivelazioni sul caso dei derivati Mps.

 

«La cosa che non rifarei da presidente – si sfogò Gabriello Mancini – è l’aumento di capitale del 2011, per oltre un miliardo. Era però ineludibile, sia per le pressioni a livello nazionale, e poi per le istanze della comunità senese a non diluire la quota di partecipazione in Banca Mps». Si torna al tabu 50,1 percento, che però era già diventato un problema nel 2008, all’epoca del primo aumento di capitale lanciato dal Monte dopo l’acquisizione di Antonveneta. L’estate di quell’anno i vertici della Fondazione licenziarono il direttore finanziario Nicola Scocca, che fece causa. E definì l’operazione Antonveneta «la madre di tutte le distruzioni di valore nel settore bancario».

Scocca contestò la scelta di trovare i miliardi per il primo aumento di capitale, non cedendo azioni Mps, ma privandosi di tutte le altre partecipazioni di valore, come le quote di Cassa Depositi e Prestiti e altri asset pregiati. Meglio dare qualche cifra, prima di ridare la parola a Mancini. Banca Mps chiuse il bilancio 2008 con 922 milioni di euro di utili, il 2009 con 220,1 milioni, nel 2010 risalì a 985,5 milioni. Fino alla batosta del 2011, con la maxi perdita di 4 miliardi e 690 milioni di euro. La Fondazione Mps chiuse il 2009 con un avanzo di 62,5 milioni, poi tre bilanci in perdita: 2010, un rosso di 128,4 milioni, nel 2011 un disavanzo di 331,7 milioni, nel 2012 -193,7 milioni di euro. Non avendo altri gioielli di famiglia da vendere, per quel miliardo di nuovo aumento di capitale Palazzo Sansedoni mise in pegno le azioni Mps per farsi prestare da una dozzina di banche d’affari quel miliardo. La caduta libera dell’azione Mps, che precipitò fino a 17 centesimi, bruciò anche quell’aumento di capitale.

 

«Dopo 4,5 miliardi investiti nella banca e appena 165 milioni di dividendi incassati – rivelò Gabriello Mancini, da ex presidente – la Fondazione è stata ingannata dagli ex vertici di Banca Mps e dalle loro affermazioni rassicuranti. Le scelte sono state effettuate su dati poi risultati falsi e in adesione a una interpretazione rigida del concetto di controllo della Banca. Concezione vincolata anche alle forti istanze dell’intera comunità, che attribuivano valenza strategica al mantenimento di almeno il 50,1 percento del capitale. Solo dopo, e a crisi ormai conclamata, ci sono state clamorose folgorazioni. Ma conservo – fu l’epilogo sferzante – i programmi elettorali del 2011 come ricordo».

Banca Toscana, un miliardo sprecato

La messa in vendita poi finita in soffitta. Gli anni d’oro dello spot con Irene Grandi. Era  «una riserva di valore» per la rocca

Un tassello del suicidio finanziario del Monte dei Paschi dopo l’acquisto di Antonveneta è lo spreco di un marchio come Banca Toscana, l’incapacità manageriale di far fruttare una «riserva di valore», come la definiva l’ex direttore generale Divo Gronchi. Banca Toscana nasce ufficialmente nel 1930, negli anni ’70 è una controllata del gruppo Monte ed è tra le prime 20 banche italiane per raccolta, nel 1986 si quota in Borsa e viene usata da Rocca Salimbeni non solo per formare i manager per la capogruppo, ma anche come serbatoio occupazionale. Banca Toscana può assumere direttamente, al Monte si entra solo per concorso, anche se ci sono quote riservate, il 20 percento, ai senesi e ai figli dei dipendenti. Nel 1990 acquisisce il Banco di Perugia, nel 2000 la Banca Popolare della Marsica.

Irene Grandi e Carlo Conti

Gli anni d’oro sono raccontati in uno spot tv con la cantante Irene Grandi e il conduttore Carlo Conti. Il marchio esce dai confini del Granducato, la campagna costa diversi miliardi di lire, ma dà notorietà al brand. Il 28 febbraio 2003 le assemblee di Banca Mps, Bam e Banca Toscana approvano il progetto di fusione per incorporazione di Banca Toscana e Banca Agricola Mantovana. Che conservano marchi e filiali, oltre all’autonomia. Tanto che a novembre 2005 la Banca Toscana ha 428 filiali anche nel centro sud dell’Italia. Poi arriva l’iceberg Antonveneta e nel 2008 il Monte offre a venti istituti il marchio Banca Toscana con 150 sportelli, offrendo diverse opzioni di acquisto. Il brand è stimato in 100 milioni di euro, con gli sportelli si supera il miliardo, ma nessuno lo compra. Dal 30 marzo 2009 Banca Toscana viene inglobata nella Banca Mps. Il marchio è ancora nella pancia della Rocca.

Il riscatto di Morelli: «Così ho restituito l’orgoglio ai dipendenti di Rocca Salimbeni»

È stato amministratore delegato per 44 mesi, sotto tre governi. «Esperienza straordinaria: la banca ha riconquistato il mercato»

«Sono stato amministratore delegato di Banca Mps per 44 mesi, ho operato con tre governi e tre ministri dell’Economia: prima Padoan, poi Tria, infine Gualtieri. A ognuno di loro ho messo a disposizione il mio mandato. Ora è giunto il momento di tirare le somme e spiegare cosa ha fatto la banca in questi anni».

 

È il discorso d’addio pronunciato da Marco Morelli nella primavera del 2020 quando dichiarò la sua indisponibilità a continuare l’incarico. Accompagnò quelle parole con delle slide sui risultati ottenuti dalla Banca dal 2016 al 2019: il Cet1 passato dall’8,2 percento al 14,7 percento, la montagna di crediti deteriorati scesa da 45,8 a 12 miliardi, la raccolta commerciale diretta da 51,1 a 65,6 miliardi, i crediti alla clientela cresciuti del 10 percento a 78,8 miliardi, i dipendenti ridotti da 25.600 a 22 mila, le filiali da 2.032 a 1.422. Passaggi imposti dal piano di ristrutturazione, che obbligava il Monte a correre con gambe e braccia legati.

Nonostante i vincoli, quelli furono gli anni del riscatto e dell’orgoglio ritrovato per il Monte dei Paschi di Stato. «È stata un’esperienza di tre anni e mezzo umanamente e professionalmente straordinaria – scrisse Morelli a fine febbraio –. La Banca ha riconquistato il posto che merita sul mercato grazie al contributo di tutti i colleghi, del management e dei membri del cda, tutti coscienti che Mps è un’importante realtà del Paese».

 

Questo mentre sulla Rocca si susseguivano bufere di inchieste, processi e persino i rimborsi da 300 milioni di euro per la storiaccia dei diamanti. Marco Morelli ritornò a Siena il 14 settembre 2016, cooptato dal cda presieduto da Massimo Tononi. Era stato nel gruppo Mps dal 2003 al 2010, vicedirettore generale. I processi e le inchieste hanno dimostrato che con l’acquisizione di Antonveneta e l’affaire derivati Morelli non c’entrava. Mussari e Vigni non l’avevano coinvolto nelle decisioni, se ne andò nel 2010 in aperta rottura con i vertici. Oltre a tre ministri, Morelli ha avuto anche tre presidenti: prima Tononi, poi Alessandro Falciai, infine la prima presidente donna della Banca in 5 secoli e mezzo, Stefania Bariatti.

Marco Morelli è stato amministratore delegato per 44 mesi

Quando arrivò, il tandem Tononi-Viola aveva già lanciato il nuovo aumento di capitale da 5 miliardi di euro, imposto dalla Bce. I soci privati e il ministro Padoan, con il Mef che aveva già il 4 percento di Mps, maturarono l’idea che non poteva essere Viola a convincere il mercato a sottoscrivere altri 5 miliardi, ne aveva già chiesti 8 con i precedenti aumenti. Serviva un nuovo manager per parlare con gli investitori. C’erano trattative aperte con vari fondi, tra cui quello sovrano del Qatar. Ma il 4 dicembre 2016 il referendum sancisce la fine del Governo Renzi, e tutti i potenziali investitori, Qatar compreso, si tirano indietro. L’aumento di capitale fallisce così.

 

Comincia la nuova stagione del Monte dei Paschi di Stato: la banca senese fu la prima ad avere una ricapitalizzazione precauzionale, da 5,4 miliardi di euro, più 2,7 miliardi di bond subordinati convertiti in azioni, in base alla direttiva BRRD, alla quale si poteva accedere solo dopo aver esperito tutti i tentativi con il mercato. Il 23 dicembre lo Stato chiede l’applicazione della direttiva, lancia la ciambella degli aiuti e la Consob toglie il Monte dal listino di Piazza Affari. Marco Morelli pulisce drasticamente i bilanci, accantona in 9 mesi 8,4 miliardi per erodere la montagna degli npl.

 

Chiude i primi due bilanci con perdite pesanti, -3, 1 e -3,5 miliardi. Poi ritorna l’utile nell’anno successivo per 279 milioni. E avrebbe chiuso in utile anche il 2019 se il Governo non avesse cambiato le regole sulle Dta. Il successo più importante del tandem Morelli-Bariatti è aver rimotivato i dipendenti Mps, a fronte di 3.800 esuberi. E anche aver previsto dal 2018 che il Monte non avrebbe potuto camminare da solo. «Il Mef sa cosa pensa il management delMonte. Una strada è quella del consolidamento tra banche di simili dimensioni» confessò Morelli nel maggio 2019 al nostro giornale. Il problema non era solo del Monte, ma di tutte le banche medie. Ubi, Banco Bpm e Bper cominciarono a giocare il loro risiko. Ubi è stata acquisita da Intesa Sanpaolo, le altre sono ancora in ballo.

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